SUSSI E BIRIBISSI, PRIMO OPLA'

SUSSI E BIRIBISSI, PRIMO OPLA' Dario Fo: i ìhi(Mhrnia vita, il gioco dwvesckwe il frale SUSSI E BIRIBISSI, PRIMO OPLA' "E poi tutti i satirici, come Swift, e i fabulatori popolani" HA SST wk /BH / I \Bft I / >Sy wf A T ™ ETTIAMO un capo e una coda, mi dica il primo libro della sua vita e l'ultimo, quello definiii- «Il primo si chiama Sussi e Biribissi, ragazzini che vanno alla scoperta del mondo capo- volto, passando per i cunicoli, le boagne: dal buio alla luce... L'ultimo, e per sempre inarri Lultimo, e per sempre inarrivabile, è La Divina Commedia, anche se la scuola continua a insegnarla come un castigo». Così Dario Fo, premio Nobel, viaggiatore di memorie letterarie in questa ora non del tutto sottratta al presente - la guerra, gli appelli, il furore e anche la risata «sulla stupidità degli uomini» che genera tutti gli orrori, compresi quelli blii id il fil balcanici • per ricordare il filo dei suoi amori di carta, autori e opere che rovesciano il reale per raccontarlo, «tutti i satirici a cominciare dal grande Swift», sino ai fabulatori popolani, e a Dante, sempre «ostili al potere, al luogo comune, al principio d'autorità, al conformismo». E ricambiati dal medesimo potere «con disprezzo, censura, esilio». Dunque all'inizio fu una fiaba a legarla ai libri? «In realtà no. Il pre-inizio fu il teatro e soprattutto mio padre. Accadde un pomeriggio, quando avevo tre anni...» Cosa accadde? «Mio padre era ferroviere, vivevamo ancora a Luino, sul Lago Maggioro, e lui nel tempo libero recitava, aveva proprio una compagnia di dilettanti che si riuniva per le prove in una sala della stazione.,.». E lei aveva davvero tre anni? «Neppure mio padre voleva credere che io conservassi quel ricordo... C'era questa grande sola mezza buia, c'erano persone illuminate sul palco che recitavano e tutti avevano questi fogli con il testo e imparavano le battute a memoria. Recitavano Ibsen», I fogli e il recitare, è questa la chiave? «Credo di sì, perché poi molti anni dopo, quando cominciai a leggere da solo e per esempio scoprii il Pantagruel di Rabelais, che mi faceva rotolare dal ridere, mi immaginavo i personaggi dal vero, con le battute e i gesti e li pensavo in termini teatrali, sul palcoscenico». Tutto questo accadeva durante 1 adolescenza. «Sì, a Luino, paese di fabulatori, dove ascoltavo la gente raccontarsi storie in piazza e al bar. Mio padre era autodidatta, entrò in ferrovia da telegrafista, ne uscì capostazione e in tutti i ricordi che ho di lui, ha un libro in mano. Durante il fascismo mi fece leggere i libri proibiti sui movimenti ereticali del Medio Evo, tra i quali trovai la storia di Fra Dolcino,..». Storia che trent'anni dopo finì nel suo «Mistero Buffo». «Molto di quello che lessi allora finì nei miei lavori teatrali. Anzi quasi tutto, perché quelli sono gli anni in cui le cose ti entrano dentro e danno frutti». Provi a elencarmi i semi. «I semi sono certi greci minori come Lisippo o Astorre. E specialmente Luciano di Samosata, autore del Dialogo dei morti, Dialogo delle cortigiane, Lucio... Poi gli inglesi, i satirici da Pope a Swift, il loro sguardo irridente, il loro spirito anarchico...». E la scuola non contò nulla? «La scuola contò, ma per pura fortuna. Quando ci trasferimmo a Milano, mi iscrissi all'Accademia di Brera e incontrai una straordinaria professoressa che al pomeriggio ci faceva leggere Shakespeare, Marlowe, Goldoni. E' con quelli che ho cominciato davvero a recitare, preparando cose per la mattina dopo in classe». Lei però, dopo l'Accademia, scelse di iscriversi al Politecnico. «Sì, come la metà degli studenti che entravano all'Accademia, dove si faceva moltissima matematica. Io frequentai il Politecnico poi passai a Architettura e divenni architetto». E anche questo ha a che fare con i suoi semi letterari? «Ho letto più cose di scienza e di matematica che di letteratura vera e propria. E molte cose di Bcienza mi hanno influenzato più dei grandi romanzi francesi o russi». Per esempio? «Cose tipo Elementi costruttivi, la Geometria proiettiva, le analisi delle ombre... Cose che ho usato, nel mio lavoro di regista e drammaturgo. Poi c'è stata la Storia...». Che è sempre stata la sua seconda passiona. «Mi diverte talmente che collaboro ancora oggi a certe riviste storiche, e mi tolgo degli sfizi, come scrivere e disegnare la Storia di Ravenna che è appena uscita». Quel ò il più bel libro di storia? «Il Medio Evo del Muratori. Comprai quei 10 volumi a 17 anni e fu una spesa talmente folle che per moltissimo tempo è stata la cosa più preziosa dio possedevo». Lei, Dario Fo, ha una qualche forma di feticismo verso i libri? «No, non credo... Certo li curo molto, ho perfino comprato un pezzo di casa in più per farli stare comodi e ho dovuto rinforzare tutti i pavimenti. Ma in realtà non so neppure quanti siano». Ci sono libri o autori che ha riscoperto solo col tempo? «Gliene confesserò almeno due: Manzoni che da giovane odiavo. E Goldoni che avevo preso sempre sotto gamba, considerandolo stucchevole, banale». E oggi cosa legge? «Stona, poesia, ma specialmente scienza. In fondo non ho mai smesso di essere un architetto immaginario, affascinato dalle macchine fantastiche, a aria, a acqua.,.». Quelle che disegnate sembrano un sogno? «Quelle che disegnate sembrano il teatro». Milo Córrile m 6 II «la» ma lo diede mio padre ferroviere. Nel tempo libero recitava. Avevo tre armi, ricordo il teatro di Luìno, persone sul paleo imparavano a memoria Ibsen. Durante il fascismo mi passò le opere sugli eretici medievali: ti le radici diMistero buffo E| jj

Luoghi citati: Luino, Milano, Ravenna