Com'era bello il salotto buono

Com'era bello il salotto buono Il grande vecchio del colosso dei pneumatici abbandona a fine mese le cariche operative. Lo aveva annunciato quattro anni fa Com'era bello il salotto buono Leopoldo Pirelli lascia: meglio uscire a testa alta Valerla Sacchi MILANO- «Marco e io siamo due galli che hanno convissuto bene, rispettandoci, consultandoci sulle strategie e discutendole. Insomma è stata una esperienza felicissima, ma non bisogna abusare di questo eccezionale dono. E so di lasciare il gruppo in mani sicure». Cosi Leopoldo Pirelli spiega agli amici un po' increduli e un po' sbalorditi perchè alla assemblea di fine maggio abbandonerà la presidenza della Pirellina, l'ultima carica ufficiale nel gruppo. Dove resterà solo presidente onorario e dove Marco Tronchetti Provera, già marito di Cecilia Pirelli e padre di tre nipoti di Leopoldo, diventerà il numero uno assoluto. Non è solo questo, naturalmente. A quelli che cercano di saperne di più, agli altri che gli consigliano di non rinunciare a un lavoro a cui ha dedicato cinquantanni della sua vita, il settantaquattrenne Leopoldo snocciola altri motivi. Dice, per esempio, che «nella vita c'è una parabola in cui si raggiunge il massimo di efficienza, poi segue la fase discendente e, se uno si guarda dentro, capisce che è cominciata». Conclusione, e (forse) indiretto consiglio: «E' bene uscire ancora con la testa alta». Lo dice agli amici che non sono poi molti, perchè dei compagni di scuola è rimasto solo Fabio Semenza, e gli altri come Luigi Orlando e Paolo Murialdi stanno probabilmente tutti in una mano. Poi c'è Piero Ottone, col quale naviga molto e la barca, si sa, unisce. Perchè si è fuori dal tempo, non c'è fretta, il discorso scorre facile tra lunghe pause. E se qualcuno osserva maliziosamente che ci sono ancora novantunenni come Cuccia che si sentono allo Zenit, sorrìde, si porta alle labbra l'immancabile sigaretta. E tace. Ma l'idea torna sempre alla Pirelli, e poiché è un tipo a cui piace essere preciso, ricorda che in Pirelli lavora suo figlio Alberto, che si occupa di cavi. Alberto di cui sottolinea le doti umano: chiarezza, onestà, passione per il lavoro. Un uomo che «se non è d'accordo su qualcosa lo dice con tutta fra n chezza, e che ha un rapporto molto chiaro con Marco, che riconosce come numero uno». Un'intesa* a due che rafforza la dinastia ed è uno dei capolavori di Leopoldo. Il quale, dopo aver mandato il giovane Tronchetti alla «bottega» di Vincenzo Sozzani in Sip a imparare il mestiere (mestiere che, disse poi Sozzoni «ha imparato benissimo, meglio di me»), ha guidato negli ultimi dieci anni l'inserimento in Pirelli del figlio. Apparentemente lascia senza rimpianti un lavoro che ha amato e al quale si è molto dedicato, anche se nessuno gli ha mai sentito dire «sono stanco». Un impegno che si assume dopo la laurea in Ingegnerìa conseguita nel dopoguerra che aveva vissuto negli ultimi due anni come partigiano in Val d'Aosta. Riuscendo negli anni, pur tra le molte vicissitudini, a mantenere la Pirelli stabile e con un azionariato stabile. Anche grazie al salotto buono o meglio, poiché Leopoldo non ama i luoghi comuni, al sostegno degli «amici». (ili amici che possono cambiare ma che sono importanti nel consentire il controllo di una azienda nel tempo. Anche oggi Leopoldo considera valido il concetto di «sindacato» poiché permette programmi a medio-lungo termine e assicura la tranquillità al management. Fermo restando che ci deve essere in azienda un imprenditore che sia il punto di riferimento e sappia ovviamente il fatto suo. E certo, sotto quel suo fare apparentemente dimesso, Leopoldo in azienda è sempre stato un padrone forte. Mai ha delegato il potere ad altri e, soprattutto, mai a un solo uomo. Negli Anni Sessanta i collaboratori erano una trìade: Brambilla, Dubini e Rossori, dagli Anni Settanta furono Pittini e Vittore-Ili. Poi arrivò il genero Tronchetti. Oggi esce di scena dopo cinquant 'anni che hanno visto la ricostruzione dell'Italia, il dominio della De e di Craxi, il Sessantotto quando i cortei attra¬ versavano Milano al grido: «Agnelli e Pirelli, ladri gemelli». E in mezzo grattacapi di ogni tipo, come la scalata a Montedison del presidente dell'Eni Eugenio Cefls quando, per la prima volta (come si legge in Razza Padrona), Leopoldo li¬ tigò ferocemente con Enrico Cuccia cho, zitto zitto e all'insaputa dei soci privati, aveva favorito la scalata. E alla fine di questa vicenda, con l'«autunno caldo» in piena forza e la crisi petrolifera alle porte, si dovette affrontare la riorganiz¬ zazione della Confindustria strettamente controllata dai Costa, dai Valerio, dai Valletta, dai Borrasio e dal vecchio Pesenti. Dove, secondo le linee dello schema Pirelli, si aprirono le porte del sancta sanctorum ai giovani e ai piccoli im- prenditori. E dove Giovanni Agnelli venne incoronato nuovo presidente. Non ebbe invece successo il famoso «rapporto Pirelli» che avrebbe dovuto ridurre le ore settimanali dalle 45/48 a 40 ma con turni continui. La bocciarono i colleghi industriali, inorriditi, e anche le confederazioni. Anni dopo, riflettendo su quella bocciatura, Leopoldo ha confidato: «Ero stato ingenuo, e soprattutto non avevo messo quel rapporto nel cassetto dei sindacati». Vale a dire che non ne aveva parlato con Lama e Trentin. Della Confindustria Leopoldo ha sempre rifiutato la poltrona di vertice. Perchè? Ogni volta declinava l'onore dicendo di non avere spazi liberi, la guida della Confindustria era un lavoro a tempo pieno, e lui «aveva troppo da fare in Pirelli». Anche come imprenditore Leopoldo è stato innovativo. Forse troppo. Nel 1971 l'accordo mondiale con Dunlop avrebbe dovuto portare ad una integrazione tru le due case, ma falli per circostanze contingenti: l'«autunno caldo» di casa nostra avova portato in rosso i conti di Pirelli, la crisi petrolifera aveva messo in difficoltà Dunlop. Sommare due «rossi» era arduo, E poi ora stato commesso un grande errore: scegliere una struttura di comando paritetica anziché unica. Una «lezione» che Leopoldo non dimenticherà mai. E difatti, quando nell'88 prese di mira l'americana Pire - po stone lanciò un'Opa, fallita per la controfferta della giapponese Bridgestone. Come fallirà, per ragioni diverse l'assalto alla tedesca Continental nel 1990-91. Un insuccesso di cui Leopoldo si è assunto, alla assemblea di Pirellona nel febbraio del '92, ogni «responsabilità». E chissà che non fu allora che «l'ingegnere» cominciò a meditare sul fatto che, forse, il suo Zenit era alle spalle. E difatti, quattro anni dopo annunciò alla assemblea di Pirellina che, quello, era il suo «ultimo manduto presidenziale». Eravamo in piena Mani pulito, ma la Pirelli non ne fu coinvolta. E stranamente, per un uomo che è tanto restio a dire cose definitive, su Mani pulite Leopoldo non ha dubbi: non c'è distinzione fra concussione e corruzione. Ma c'è di più. Il suo pensiero ò chiaro: se di fronte a determinale pressioni politiche piccole aziende per le quali si tratte di questioni di vita o di morti; è umano che cedano, «io mi sono limitato a non accettarle». E addirittura aggiunge: «Se noi grandi imprenditori ci fossimo alleati e avessimo denunciato il fatto, non sarebbe successo niente e avremmo fatto anche una bella figura». Ma cosi non fu. Il suo rapporto con i politici è sempre stato fuggevole e contingente. Non ha mai avuto dimestichezza con capi di punito e con gli uomini di governo solo quando era necessario per ragioni di lavoro. Del resto è proverbiale il suo amore per la so I it tuli tu- o lo piccolissime brigate, la suo avversione per la vita mondana, il suo andare a letto presto, soprattutto negli anni di piombo quando gli fu imposta una scorta. Un voro supplizio per un signore come lui che, se potesse, vorrebbe passare inosservato, e se mai restare 11 ad osservare in silenzio gli altri, la sigaretta in mano e (un tempo) un whisky nell'altra. Per questa idiosincrasia al mondo politico non ha mai voluto entrare nella carta stampata. Nonostante questo, quando il compianto amico Mario Formenton si trovò in difficoltà dopo l\ivventur.ì di Retequattro, Leopoldo gli disse: «Ss hai bisogno del mio nome, sono disposto a prendere una piccola quota di Mondadori. A titolo personale». Va da sè che l'episodio fu raccontato da un commosso Formenton. Se qualcuno insinua che egli lasci perchè non è più in sintonia con i tempi, 1 ingegnere nicchia. Butta lì: «I giovani imprenditori li conosco poco». E i politici? Silenzio. Poi sussurra: «Sono contento di aver annunciato tre anni or sono che mi sarei ritirato quest'anno». L'unico di cui fa il nome, sperando vada al Colle, è Carlo Azeglio Ciampi. Grazie al sostegno degli amici ha potuto mantenere stabile l'azionariato Considera valido il concettò di sindacato perché consente ai manager di agire con tranquillità Mai delegato il potere, soprattutto ad uno solo Chi lo conosce lo definisce uno che parla con franchezza e che ha sempre avuto rapporti molto chiari con Tronchetti al quale riconosce il ruolo di «numero uno» in azienda Nella sua storia c'è un feroce litìgio con Cuccia Leopoldo Pirelli a fine mese rimetterà ogni incarico operativo nel grande gruppo che porta il nome della sua famiglia Resterà comunque presidente onorario Il timone sarà nelle mani di Marco Tronchetti Provera, con cui è raffigurato nella foto sopra La dinastia continua attraverso il figlio Alberto

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