Mosca si rimangia il sì all'Occidente
Mosca si rimangia il sì all'Occidente La missione del mediatore a Pechino dopo la distruzione dell'ambasciata di Belgrado Mosca si rimangia il sì all'Occidente Cemomyrdin in Cina: non si negozia sotto le bombe Giuliette Chiesa corrispondente da MOSCA Netto passo indietro della Russia rispetto alla firma del piano del G-8. Viktor Cemomyrdin, di fronte all'ira di Pechino, ha rimesso nella sua borsa il documento che il suo ministro degli Esteri Igor Ivanov aveva firmato a Bonn, la scorsa settimana, insieme ai paesi Nato e al Giappone. Discutere di quel documento ha detto - «si può e si deve, ma solo dopo avere interrotto i bombardamenti. Questa è la base della posizione comune della Russia e della Cina». La dichiarazione del plenipotenziario russo per il Balcani è arrivata da Pechino come una doccia fredda, ribadita, per giunta, due volte. «Prima di cominciare qualsiasi negoziato, su una questione così grave come gli eventi attorno alla Jugoslavia aveva esordito Cemomyrdin occorre preventivamente interrompere i bombardamenti. Non possiamo mettere il carro davanti ai buoi». Dunque non c'è, al momento attuale, neppure il margine per ima convocazione del Consiglio di Sicurezza. Meno che mai per un esame, in quella sede, del piano del G-8. La Cina non è d'accordo. E la Russia decide che è più importante non perdere il contatto con Pechino che perderlo con la Nato. Anche se il l'inviato di Eltsin ha detto di avere nuove proposte da offrire a Washington per la soluzione del conflitto. I colloqui di Cemomyrdin con i dirigenti cinesi, dal presidente Jiang Zemin, al capo del governo Zhu Rongji, al vice-premier Qian Qichen, si sono svolti nelle pesanti condizioni psicologiche determinate dalla grave irritazione cinese per il rifiuto del Consiglio di Sicurezza di condannare il bombardamento dell'ambasciata di Belgrado. Tensione sfumata alla sera, quando la delegazione cinese ha ritirato la pretesa di tale condanna. «Abbiamo messo a punto lo nostre posizioni», ha detto Cer* nomyrdin, ma s'è capito che era la Russia che metteva a punto le proprie, regolandole su quelle cinesi. Che sono state insolitamente dure perfino sulle labbra di solito appena socchiuse del presidente Jiang Zemin, il quale ha parlato di «provocazione contro un miliardo e 200 milioni di cinesi», determinati a «esprimere con ogni mezzo la loro indignazione». Ieri il viavai diplomatico nelle due capitali refrattarie all'Occidente si è fatto intensissimo. Mentre il cancelliere Schroeder partiva alla volta di Pechino, per supplire all'opera di convincimento non riuscita a Cemomyrdin, il ministro degli Esteri francese, Hubert Vedrme, vedeva a Mosca il collega Ivanov. Emergendo dall'incontro con un ottimismo che è parso eccessivo. Mentre Ivanov rimaneva silenzioso, il francese annunciava come possibile (la discussione del Consiglio di Sicurezza «nell'ambito» del documento del G-8) quello che Cemomyrdin, a Pechino, aveva appena definito impraticabile. S'è saputo che Vedrine e Ivanov hanno affrontato anche la questione della composizione della «futura presenza internazionale» in Kosovo e la forma della «futura amministrazione autonoma», ma da parte russa nulla è trapelato sui contenuti concreti. L'unica cosa emersa è che la Nato non ritiene che le mosse finora annunciate da Milosevic soddisfino le condizioni minime per «una pausa» dei raid. Interessanti le indiscrezioni dell'ex vice-segretario dell'Orni Akashi, che ha incontrato Milosevic in forma privata. Da esse si ricaverebbe che Milosevic ha lasciato cadere la condizione che la presenza intemazionale sia solo civile e si attesterebbe ora su due cardini: forza Onu da cui sia esclusa la partecipazione dei paesi Nato «che partecipano ai bombardamenti». Il che farebbe pensare che il leader jugoslavo accetterebbe altri Paesi Nato nella forza multinazionale. Per giunta - ha precisato Akasi parlando a Tokyo con i giornalisti armati, «seppure con armi leggere». Ieri sera è arrivato a Mosca, di nuovo, il vicesegretario del Dipartimento di Stato, Strobe Talbott. Che oggi incontrerà Cernomyrdin, giunto ieri sera da Pechino, e Ivanov. Eltsin invece, che sta affrontando il problema di licenziare .Primakov, e sciogliere la Duma per evitare l'inizio della procedura di impeachment, andrà a Pechino alla fine di ottobre, invitato da Jiang Zemin. Per sancire quella che il premier cinese Zhu Rongji ha ieri definito, per la prima volta dai tempi dell'amicizia «indistruttibile», una «collaborazione strategica tra Cina e Russia». L'inviato di Eltsin annuncia però un nuovo piano per la soluzione della crisi Jiang Zemin: l'attacco è stato una provocazione contro un miliardo e 200 milioni di persone Il presidente cinese Jiang Zemin
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