Millon, il «piemontese» di Marco Vallora
Millon, il «piemontese» Millon, il «piemontese» Marco Vallora TORINO SRIA inconfondibile da conoscitore anglosassone, 72 anni portanti con elegantissima brillantezza, esmicia rigata rossa da perfetto oxfordiano e sceltissime cravatte regimental, forbite come il suo italiano compassato, Henry Millon, moglie scrittrice e non pochi figli, tra cui architetti, biologi ed anche uno chef, ammette di aver progettato qualche edificio (villette a schiera e centri commerciali) giusto per sopravvivere. «Ma la mia vera passione sono sempre stati i progetti degli altri, i disegni di architettura» e non nasconde cho quelli degli italiani, da un lato Michelangelo, per il resto Juvarra e Guarini, sono i prediletti. Un fidanzamento lunghissimo, quello con la cultura piemontese (ricorda con affetto figure come quelle di Marziano Bernardi e Viale): anzi, ci si stupisce che qualche espressione vernacolar-cavouriana non macchi il suo scolpito eloquio cartesiano. Professor Millon, c'è da credere che lei sia il maggior conoscitore americano di cose piemontesi (cita con disinvoltura i romanzi di Fenoglio»). «Era il 1956, ascoltai per la prima volta il nome di Guarino Guarini dal mio professore, il grande Wittkover, uomo straordinario e affabile. Ma non fortunato: appena andò in pensione morì. Così Viale mi chiese se volevo occuparmi dell'importantissimo nucleo di disegni di Juvarra comprati dal Metropolitan negli anni Cinquanta». Lei ha fatto un pellegrinaggio del rimorso, ai resti della cu11 pola bruciata di Guerini? ' >'! «Non me la sono sentita, ma ho dato uno sguardo dal Duomo. E' stato un véro miracolo: il calore è salito, sono esplose le finestre, per fortuna la struttura ha retto, onore all'architetto. Ma gli effetti sono stati comunque rovinosi: il marmo nero, calcificato dal calore, è diventato bianco, rosa». A guardare le date prolungate della mostra, dal 1600 al 1750, si ha l'impressione che si tratti di un fiume inarrestabile, una lunga storia complessa. Qualcosa che ricorda l'eterno cammino e l'agonia del tardo gotico internazionale. «In effetti l'interesse della scelta consiste proprio nel poter mostrare insieme progetti e modellini lignei, che accompagnano questa storia ininterrotta, nei più divèrsi cèntri europèi,' che sono molti, Roma, Londra, Parigi, Madrid, Lisbona. Ed è un processo simile, in fondo, a quello del gotico, ma con una nuova coesione, un senso inedito di espan¬ sione e di orgoglio del potere, l'arte come trionfo dell'ideologia». Dunque il primo esempio di Europa imita, almeno in senso culturale? «Euro a parte, direi proprio di sì. In fondo la carta geo-politica di allora non era poi così diversa da quella di oggi, dominata dalla Francia, che aveva concesso a tutti questi artisti una lingua appunto franca, che permetteva loro di comunicare e di Vi are». C'è una pecubarità del Barocco piemontese? «Forse la presenza di architetti di famiglia nobile, come Castellamonte. Alfieri. L'eleganza sobria di un'architettura militare che si espande agli edifici civili». «Ma qui è stato sobria eleganza di architetture militari e civili»
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