ECO sa di sale lo software altrui

ECO sa di sale lo software altrui La tolleranza e la cultura: lo scrittore parla dei Balcani, di Internet e dei dialetti di fine millennio ECO sa di sale lo software altrui Dominique Slmonnet PARIGI JIOVANE studente universitario, lei si è interessato presto al linguaggio, e ha tirato il filo: arte, filosofia, semiotica... E ora, le scienze cognitive, in un libro abbastanza tecnico {Kant e l'ornitorinco, pubblicato la settimana scorsa in Francia dall'editore Grasset, ndt). «A tratti, nel corso di questo secolo, la filosofia ha rifiutato di parlare del mentale adducendo il pretesto che non lo si poteva vedere. Oggi, con le scienze cognitive, le domande della conoscenza - che vuol dire conoscere, percepire, imparare? - sono divenute cent rali. I progressi della scienza perméttono persino di toccare ciò che una volta era invisibile. Ciò obbliga la semiotica a interrogarsi: in che modo la percezione che abbiamo delle cose viene strutturata dal linguaggio?». Gli Stati Uniti insorgono contro l'ermetismo pedante di certi filosofi Ci vedono l'influenza degli intellettuali francesi, il cui linguaggio accademico oscuro nasconderebbe talora un pensiero confuso. «Non è sempre stato così. La lingua filosofica di Pascal o di Cartesio è semplice e quotidiana. Persino Bergson, che maneggia concetti difficili, parla senza tecnicismo. Nella seconda metà di questo secolo, le cose cambiano. Perché il francese di Lacan sembra così difficile? Perché la sua sintassi non è francese ma tedesca! In effetti c'è stata, negli Anni Sessanta, una vera invasione tedesca della filosofia francese». Donde una rottura tra i due continenti? «Questo ha creato uno gigantesco sbarramento tra la filosofìa insulare e quella continentale. Gli anglosassoni, Locke, Berkeley, parlavano come tutti, e Wittgenstein, quando ha cominciato a pensare in inglese, utilizzava un linguaggio semplice. E' per questa ragione che gli americani hanno apprezzato cosi tanto Gramsci, perché non utilizzava il gergo scientifico tedesco, e sono rimasti impermeabili alla fenomenologia, a Heidegger, per loro incomprensibile. Ma han¬ no ceduto ai francesi germanizzati, che hanno influenzato la loro letteratura e poi la loro filosofia. E' già difficile tradurre Lacan in 'francese". Figuriamoci in inglese! In Italia è successo lo stesso: basta che un termine sia tedesco perché venga preso sul serio. Mia figlia, che e bilingue, una sera ha domandato a sua madre: "Mamma, raccontami una Geschichte. Per lei, Geschichte è il racconto, la storia di Cappuccetto Rosso. Per noi, è la Storia m dodici volumi». Le differenze culturali non sono, in definitiva, più forti di quelle del linguaggio? «Ogni lingua suggerisce un modello di mondo diverso. Ecco perché cercare di stabilire una lingua universale non è possibile. Bisogna semmai cercar di passare da una lingua all'altra. Io, sono per il multilinguismo. La diversità delle lingue è una ricchezza. E' un fatto indiscutibile, probabilmente legato alla natura umana. Si è potuto fare a meno di questa ricchezza per secoli, perché c'è sempre stata una lingua che dominava le altre: il greco, il latino, il francese, l'inglese... Credo che, nell'arco di una generazione, avremo una classe dirigente bilingue». Imparare un'altra lingua è una scuola di tolleranza? «Misconoscere le lingue produce sempre intolleranza. Nei Balcani, Serbi e Croati si capiscono, eppure... Un tempo, coloro che si rivoltavano più strenuamente contro il colonizzatore avevano sempre compiuto i propri studi presso di lui. E si può massacrare una po- Slezione pur conoscendone persamente lingua e cultura. La conoscenza diviene allora un elemento d'irritazione o di rifiuto, nella stessa maniera un cui marito e moglie possono litigare sempre più continuando a vivere l'uno accanto all'altra». L'inglese s'impone come lingua internazionale. Che ne pensa? «I francesi fanno finta di lottare contro l'inglese, ma la loro grande paura è il tedesco. Da quando è caduto il Muro di Berlino, l'Europa dell'Est è divenuta un insieme di poliglottismo tedesco, e ci' sono «La couniscescaten maggiori chance che il tedesco s'imponga in Europa I In questo mondo, nessuno ha mai potuto imporre la lingua veicolare dominante. I romani erano i padroni del mondo, ma gli eruditi fra loro parlavano greco. Il latino è divenuto lingua europea solo quando è crollato l'Impero romano. Ai tempi di Montaigne, l'italiano era il vettore della cultura. Poi il francese è diventato per tre secoli il linguaggio della diplomazia. Perché oggi l'inglese? Perché gli StatiUmunanno vinto la guerra e perché l'inglese sopporta meglio l'ibridazione: è più facile parlar male inglese che francese o tedesco». Ma ciò non impedisce ai francesi di parlare d'una «colonizzazione» della loro lingua da parte dell'inglese. «La lingua è una forza biologica: non la si può cambiare per decisione politica. Si può nondimeno influenzarne l'uso, ed è la funzione degli scrittori, e dei media. Un buon impiego consiste nella flessibilità con cui si accetta, se necessario, una parola straniera. I francesi dicono "bravo", "sushi" e "allegro ma non troppo"; gli inglesi dicono "pizza" e "vis-à-vis". Perché si accetta sushi e non ham¬ burger? E' perché non avete paura della colonizzazione giapponese.? Non si sa mai. Per esempio, non sono d'accordo sul fatto che i francesi dicano "logiciel" in luogo di "software", perché l'opposizione "soft-hard" è divenuta internazionale e ci si capisce benissimo utilizzando queste parole. Ma, un giorno, ho sentito la radio francese dire "job" benché disponiate di tre parole ad hoc: "emploi", "travail", "botilot". Ci sono dunque prestiti utili, come software, e prestiti stupidi, come job, e bisogna lottare contro i prestiti stupidi. I giornali italiani dicono sempre che il tale è "in polo position", termine inglese inutile, perché si può benissimo dire che è al primo posto o qualcosa di simile. Una volta, un giornale ha scitto che il tale era «in pool position», e quindi che era in piscina!». Si può ancora essere «eruditili nell'era Internet in cui l'informazione sovrabbonda? «Non abbiamo più informazioni, bensì meno! In una Fnac (la principale rete francese di megalibrerie, ndt) si ricevono meno informazioni che in una piccola libreria nei pressi della Sorbona. Ne abbiamo meno da quando la televisione moltiplica le reti... E anche quando domando una bibliografìa sul Web e ricevo un elenco di 10.000 titoli, non guadagno in informazione. Con Internet, c'è una tragica diminuzione dell'informazione! Rischiamo di divenire autodidatti». E' un male? «Gli autodidatti sono coloro che inghiottono una quantità enorme di informazioni, certo più che un do¬ cente universitario, senza saper fare la cernita. La memoria è un meccanismo che consente non solo di conservare, ma anche di filtrare. n caso contrario, diverremmo come Funes él memorioso, il personaggio di Borges che si ricorda di utte le foghe dell'albero che ha vito trent'anni prima, e che diventa pazzo. L'anno scorso ero a Istanul; passavo il tempo in taxi, ma non ne ricordo che uno: quello che ha cercato di rubarmi un milione di lire! Per fortuna la mia memoria ha selezionato, se no vrei la testa piena di axi turchi!». Nonostante tutto ciò, lei va ripetendo che lo scritto ha trionfato, che siamo tornati alla civiltà della scrittura. Ma sì! Il computer avrebbe obbligato McLuhan a riscrivere La Galassia Gutenberg. Viviamo inontestabilmente il ritorno dello critto Sui nostri schermi, leggiamo testi che stampiamo. Non i sono mai pubblicati tanti libri, dificate cattedrali ai libri come queste immense librerie. E allora, quando sento degli scrittori dire che il libro sta per scomparire non posso sopportare una simile malafede. Si costruisce sempre 'immagine dell'avvenire sull'idiota del villaggio. Oggi, il modelo sarebbe l'internauta maniaco, che clicca fino alle 5 del mattino e non legge più? Ma la gente non fa così!». Quanto a lei, non scrive per41 comla scridelle v l'idiota del villaggio. Ma allora, per chi scrive? «Sul Milano-Bologna, che prendo regolarmente, non c'è un solo controllore che non sia un lettore dei miei libri o dei miei articoli. Gli editori, i dirigenti della televisione e i critici letterari non hanno compreso che c'era stata una rivoluzione mentale, che il livello generale era aumentato». Quando lei parla di lingue, dello scritto, del libro, non la si trova mai dove la si aspet- ta, cioè nel ruolo dell'erudito che si preoccupa per l'impoverimento della cultura. In definitiva, lei non è poi così indeciso, e piuttosto ottimista... «Sempre meno ottimista. Sa, parecchi responsabili di Auschwitz erano lettori di Goethe e ascoltavano Brahms. Non credo che la diffusione dell'informazione e della cultura contribuisca necessariamente al progresso del bene. Oggi, la gente parla la sua lingua nazionale più correttamente, legge anche più giornali, più libri... Ciò non significa che l'umanità migliori. Né che ci siano meno cliché, stereotipi e sciocchezze». «L'Express» - «La Stampa» «La conoscenza non sempre unisce. Nella ex Jugoslavia scatena irritazione e rifiuto» 41 computer ha risuscitato la scrittura e ha costruito delle vere cattedrali ai libri» «Siamo tutti schiavi dell'inglese, ma una lingua universale non è possibile. La diversità è una ricchezza della natura umana» Umberto Eco l'erudito pessimista: «Ad Auschwitz si leggeva Goethe»