«Tra i sepolti vivi di Prizren»

«Tra i sepolti vivi di Prizren» LA TERRIBSLE CRONACA DI UN MESE DA INCUBO «Tra i sepolti vivi di Prizren» Un giovane profugo racconta la sua odissea testimonianza E inviato a TiRANA g cominciata così: quella sera che Solana comunicò cho avevano autorizzato l'attacco, noi eravamo in casa, tutti attorno alla radio. Quando uscii, alle 23,30, le strade erano già intasate da colonne di camion stracarichi di soldati sorbi che abbandonavano le caserme per nascondersi nelle scuole, negli edifici pubblici, 'nelle fabbriche, nei grandi condomini. Continuò tutto l'indomani». ( Dal silenzio del Kosovo arriva ; questa voce sul primo mese di iguerra. Albatro:; Rexhaj lo ha vissuto a Prizren, la sua città, neppure- 20 chilometri oltre la frontiera |di Kukes: numerose moschee, alcune antiche, una cospicua comunità cho parla turco e si autodefinisco turca: insomma, Prizren sembra la nemica ideale per i serbi ortodossi, che in città però erano pochi, neppure 500, e non avevano mai provocato particolari problemi. Alhatros non ha ancora compiuto 24 anni, è sposato con lima, '20, studentessa di matematica. Nell'ultimo inverno, ha collaborato con gli osservatori Osce, l'organizzazioni.' per la sicurezza e la ,cooperazione europea: «Semplicemente i serbi ci consideravano spio. Quando la Nato lanciò l'ultimatum, quelli dell'Osco se ne andarono o io sapevo che i serbi avevano preso nota del nome di chi aveva collaborato con l'Europa. ; «Esultavamo, quella sera, certi che l'Alleanza avrebbe bombardato duramente. Al contrario, si udirono due sole esplosioni e l'indomani mattina i serbi andarono per le strade con i blindati e mitragliarono le vetrine dei negozi. Casa si trovava a un quarto d'ora dal centro, al 32 del Lakuriq Blok, che significa quartiere dei pipistrelli. Io ero lì sul balcone, ci sono rimasto giorno e notte per cercar di vedere, capire, valutare. Giù quelli facevano scempio, ma quando si è udito il rombo di un aereo hanno abbandonato i cingolati e noi ci siam sentiti rassicurati. La terza notte, ancora due bombe che hanno centrato una caserma vuota'. Pioveva. Ho udito distintamente "Kosovo libero" ma la voce aveva un accento insolito e sono rimasto in silenzio. Poco dopo si è fermata un'auto davanti al 33 e qualcuno ha gettato nel cortile una bomba a mano. "Perché non escono questi figli di puttana?", ha gridato uno, in serbo. E io sempre lì, fermo, al buio. I miei si erano rifugiati in cantina, mia madre pregava, terrorizzata, perché si aspettava un'irruzione. Invece si è sentito un aereo e l'auto è ripartita. "Verranno di nuovo a cercarti", mi ha detto Urna. Era probabile, perché quelli pensavano che avessuno i telefoni satelli. tari per comunicare con la Nato, e invece non avevamo niente. Con mia moglie abbiamo deciso di trasferirci in centro dove, pensavamo, sarebbe stato più complicato per i serbi fare rastrellamenti. Siamo andati in casa di un mio cugino, che ha un bimbo di 4 anni. Abbiamo scavato una botola di 1 metro e 20 e ci abbiamo messo cibo e medicinali. Quella botola veniva coperta da un tappeto, se non facevano una perquisizione accurata, forse ce la saremmo cavata. Un giorno che li abbiamo sentiti arrivare all'improvviso, siamo piombati in quel buco e Halli, il piccolo, si è messo a piangere, sua madre gli ha tappato la bocca con la mano. "Che cos'era?", ha chiesto una voce. "Niente", gli ha risposto uno forse con un po' di cuore. «Durante il giorno i serbi per non essere individuati dai satelliti spia si muovevano poco, avvicinavano alle case i carri armati e le contraeree, noi approfittavamo della libertà relativa per andare a comprare il cibo: è stato allora che abbiamo sentito i primi racconti degli scempi di Peja. «Nei primi dieci giorni la Nato colpiva soprattutto di notte: caserme vuote o vecchi edifici che loro avevano "truccato" da caserme. «Continuavamo a pensare: "La Nato ci libererà", ma quando i serbi hanno cominciato a fare perquisizioni metodiche, abbiamo avuto paura. Battevano casa per casa, dove c'erano più maschi, prende- vano quelli trai 15 e i 55 e li portavano al campo sportivo. Ho poi visto che molti di quelli catturati indossavano divise militari ed erano costretti a rimuovere le rovine o scavare trincee. "Mettete a posto ciò che la Nato ha distrutto", dicevano i serbi. Alcuni in divisa venivano piazzati attorno ai carri armati e ai camion. Finalmente c'è stato un attacco preciso da parte degli aerei Nato, i carri colpiti non bruciavano, semplicemente fondevano. «L'indomani la polizia ha portato via 2000 giovani, ed è cominciato l'esodo. I serbi hanno ucciso un'ottantina di fuggiaschi, non ci sentivamo più al sicuro da nessuna parte. Ormai quelli parevano dei gangsters, frugavano nelle case alla ricerca di cibo, denaro. I proiettili scarseggiavano e loro sparavano soprattutto la notte per terrorizzarci. Siamo tornati a casa nostra e per fare quel quarto d'ora di strada abbiamo impiegato più di due ore perché dovevamo nasconderci, passare da un cortile all'altro. «E' cominciato un bombardamento che è andato avanti 16 ore. Scorgevo i missili venir giù a spirale e poi avventarsi sull'obiettivo; e gli aerei che dopo aver fatto fuoco, venivano giù fino a 200 metri, forse per controllare. I serbi hanno tentato una risposta, ma le con' traeree venivano centrate. A ogni esplosione, tremava tutto, noi ci chiedevamo perché la Nato non avesse cominciato così dal primo momento. Venti missili, tutti insieme, hanno centrato un unico obiettivo, è stato come un terremoto. Poi, per quattro giorni, non s'è visto un aereo e la polizia ha ripreso a battere ogni casa, ammazzando e ferendo. Una bomba aveva centrato il ghetto degli zingari e i serbi hanno detto loro: "Son stati gli albanesi a dire alla Nato di colpirvi". E hanno consegnato loro delle anni. Per tre giorni quelli hanno saccheggiato e rapinato. Con lima ci siamo messi in auto, i serbi affiancavano la colonna, ma non ci hanno ostacolato, fino a 6 chilometri dal confine, dove avevano messo un posto di blocco, di quelli con i "denti di drago". Attorno era tutto minato. Quelli frugavano dappertutto e, come se fossero alla dogana, chiedevano: "Avete liquori, tabacco?", poi strappavano gli anelli dalle dita, ficcavano le mani nelle tasche. Siam stati fortunati: a quello che ci precedeva hanno trovato 2000 marchi e hanno pensato che fossimo insieme». «Avevamo scavato una botola piena di cibo e di medicine, ogni volta che arrivavano i serbi ci nascondevamo trattenendo il respiro» !

Persone citate: Blok, Kukes, Rexhaj, Solana

Luoghi citati: Europa, Kosovo, Tirana