Lapierre: voglio una Norimberga

Lapierre: voglio una Norimberga Lapierre: voglio una Norimberga intervista Enrico Benedétto corrispondente da PARIGI M suoi bestseller raccontano stoino di coabitazione dolorosa H fra uomini, etnie, fedi e politiche diverse. Nel '71, «Gerusalemme Gerusalemme» sbanca il mercato planetario. Sei milioni di copie. Poi l'enigma indiano. Con «La Città della gioia», a quattro mani con Larry Collins, il successo cresce ancora: 7,5 milioni. Da allora Dominique Lapierre sforna solo mostri editoriali, editi in 20 lingue almeno. E malgrado i 68 anni e un'esistenza romanzesca (scoprì New York tredicenne, vagabondando più tardi attraverso gii Usa) non accenna a fermarsi. Monsieur Lapierre, parliamo di Kosovo. Lei scrisse «Parigi brucia?» e ritrovò l'uomo che doveva incendiarla, il generalo Dietrich von Choltltz. Vedendo bruciare davvero, mezzo secolo dopo, Pristina e Belgrado, che cosa prova? «Vorrei rispondere da storico. Se gli euroamericani avessero bombardato Berlino - incendiandola nel '38, forse aspetteremmo tuttora la seconda guerra mondiale. Bisognava intervenire dopo Monaco. Anzi, prima Quando le truppe hitleriane invasero la Renania demilitarizzata, avevano un ordine preciso: ritirarsi qualora i francesi dovessero contrattaccare. La HI Repubblica non lo fece, e l'Europa intera ne subì le conseguenze. Riassumendo: se l'Alleanza atlantica sbaglia, è per difetto. Bisogna mostrarsi inflessibili. E diffidare. Prima di sospendere i bombarda- menti ci vuole una certezza, non vaghe promesse: i dittatori come Milosevic li si piega solo con un'estrema determinazione». Lei è celebre, non solo in Francia per l'impegno umanitario. Gli utili dei suoi volumi finiscono, per il 50 %, a un'associazione per i bimbi lebbrosi. Le sembra uno slancio compatibile con posizioni belliciste sulla crisi balcanica? «Sì. I serbi hanno eletto un dittatore. Succede. Anche Hitler venne chiamato alla Cancelleria complice lo scrutinio popolare. Ma è la vittima, non il tiranno che richiede comprensione. Se non le piace il paragone con Hitler prenda Gheddafi. Per scrivere "Il Quinto Cavaliere", indagai a lungo su di lui. Ebbene, da quando i missili Cruise colpirono il suo rifugio, il terrorismo libico - guarda caso - cessò. E oggi rivediamo il Colonnello sulla scena planetaria in versione quasi innocua». Slobodan Milosevic sarebbe dunque riciclabile come Muammar Gheddafi? «Questo mai. Bisogna processarlo. Vorrei una Norimberga bis. Quanto avviene oggi in Kosovo ricorda la barbarie del nazismo. Mancano le camere a gas. Ma la volontà di annientare la popolazione albanese è analoga a quella che guidò lo sterminio ebraico. Vedo una sola differenza. I tedeschi erano puntigliosi industriali della morte, laddove la Serbia utilizza metodi non "scientifici". Ma stuprare a tappeto donne indifese equivale ad assassinarle». Si direbbe lei ritenga colpevole il popolo serbo nel suo insieme. Crede alla responsabilità collettiva? «E' un tema complesso. Preferisco non entrare in materia». . In Palestina come nel subcontinente indiano, che Dominique Lapierre conosce e ama da sempre, la religione spesso incentiva i fanatismi. La guerra balcanica avrebbe un substrato confessionale? «Non è la causa prima, però favorisce le tensioni. Lo giudico una specie di aggravante. Che sia l'integrismo islamico, la violenza nazionalreligiosa in Ulster o l'odio che promana dai rabbini israeliani più settari, il pericolo mi sembra vistoso. Controprova: i conflitti nei anali il campo spirituale non viene messo in discussione sono risolvibili con minori problemi. Penso al Sud Africa, da cui arrivo. La situazione è difficile, ma si può essere ottimisti: il contenzioso non riguarda la fede». H ritorno alla coesistenza e al mutuo rispetto in Kosovo le pare ipotizzabile, o auspica una soluzione di tipo bosnia- . co? «Serbi e kosovari albanesi possono vivere insieme. Sa, nel leggere le cronache di guerra mi viene spesso in mente Madre Teresa. Albanese nata a Skopje. Mi dico che la sua carica straordinaria nel servire gli altri, il diverso, i lontani... ha forse un legame con le sue origini». Dominique Lapierre