Belgrado: il ritiro dal Kosovo è iniziato di Giuseppe Zaccaria

Belgrado: il ritiro dal Kosovo è iniziato Nuova mossa di Milosevic: «Ci ritiriamo lentamente per evitare i raid aerei della Nato» Belgrado: il ritiro dal Kosovo è iniziato Clinton: incoraggiante, ma non ce n'è traccia Giuseppe Zaccaria inviato a Belgrado «Il ritiro delle forze jugoslave dal Kosovo è cominciato»: l'annuncio che irrompe sulla scena con tre secche righe d'agenzia è di quelli che possono mutare le sorti della guerra. La Jugoslavia comincia a riportare indietro le truppe: alle quattro del pomeriggio lo comunica il comando supremo dello Stato Maggiore attraverso la «Tanjug», agenzia ufficiale. Secondo 1 serbi il ritiro s'è iniziato già l'altra notte, intorno alle 22, e proseguirà non perché le incursioni aeree abbiano inflitto all'Armata danni fondamentali ma in quanto «le operazioni militari si sono esaurite!. il messaggio ò volutamente evasivo, non fornisce dati sul ritiro né previsioni sulle forze destinate a rimanere in campo. Aggiunge solo che «i confini della federazione restano sicuri» ed i reparti ancora schierati «possono svolgere ogni attività di difesa da eventuali irruzioni dei terroristi». Un modo per far capire che il gesto di buona volontà non coincide con un getto della spugna, e che dai militari serbi l'«Uck» si considera battuto ma ancora pericoloso. In questa lunga partita a scacchi l'ultima mossa di Milosevic sembra destinata a creare qualche imbarazzo all'avversario. La linea «aperturista» di Belgrado, inaugurata col rilascio dei tre soldati americani, comincia ad arricchirsi di argomenti. D primo: come si fa a ritenere «insufficiente» un ritiro che la stessa Nato definisce «incontrollabile»? Se le notizie raccolte a Belgrado sono attendibili, dal Nord del Kosovo già circa tremila soldati si sono spostati verso Nis. Ma soprattutto, come pretendere un ritiro massiccio so i bom- sqoi '=»«!■, bardamenti continuano e qualsiasi unità che si disponesse in colonna rischierebbe di essere annientata dal cielo? «Siamo costretti a muoverci con molta lentezza - spiegavano ieri gli ufficiali della «Dom Armje», il centro d'informazioni dell'esercito - perché dobbiamo evitare gli attacchi della Nato. In Kosovo non esistono più strade e questo costringe le truppe a trasferimenti notturni lungo direttrici secondarie». Da queste parti la politica di Bisanzio ha lasciato tracce profonde, però ò anche difficile sostenere che questi argomenti siano privi di logica. In un modo neanche troppo contorto, Belgrado manda a dire al mondo: sospendete i bombardamenti e il ritiro sarà più massiccio, finché le nostre truppe rischieranno di essere massacrate non aspettatevi mosse più significative. E a sostegno di questa tesi giunge la testimonianza di un uomo che di Balcani dovrebbe intendersi, Yasushi Akashi, un tempo inviato speciale dell'Orni per la Bosnia. Ieri era a Belgrado e ha incontrato Milosevic in una «visita personale». A cosa servisse quella visita è apparso chiaro più tardi, quando Akashi ha riferito le sue impressioni alla «Reuter». Milosevic, dice l'uomo che per quasi tre anni è stato suo intelocutore, appare «molto saldo nelle posizioni ma pronto a negoziare», anzi «sembra abbastanza pronto a discutere sulla base della piattaforma del G8». Da oggi sappiamo addirittura quale tipo di forza sia disposto ad accettare: «Il presidente - dice sempre Akashi - ha accennato a una forza militare non dotata di armi pesanti e dimensionata sul modello della missione Osce». La discussa «missione di pace» dell'Osco aveva portato in Kosovo 1500 osservatori, la Natopre- > tende il via libera per un contingente di 28mila uomini. «Ho detto à Milosevic che in base ai colloqui avuti a Bruxelles quest'ultima è condizione minima e non negoziabile, ma ho avuto l'impressione che tutto possa essere discusso». Naturalmente, per Belgrado rimane essenziale che di questa forza non faccia parte alcun Paese che ha preso parte agli attacchi. «Il presidente - è la conclusione di Akashi- comunque mi è apparso in buone condizioni, e fiducioso nelle possibilità di pace». Due giorni fa, in un incontro con organizzazioni umanitarie svizzere e russe, Milosevic aveva accennato alle «buone possibilità di trattativa» che si sono aperte, almeno dal suo punto di vista. Adesso quest'ultimo gesto di buona volontà, comunque lo si consideri, fornisce un'arma in più all'iniziativa diplomatica russo-cinese. Ieri, ipotizzando nuove tappe diplomatiche, Akashi immaginava che dopo un'altra visita a Belgrado dell'inviato russo Cernomyrdin, le Nazioni Unite dovrebbero essere in grado di varare la risoluzione che ponga fine alla guerra. Tutto sta a vedere cosa sarà accaduto nel frattempo. Se l'altra notte le incursioni aeree non hanno toccato Belgrado, i bombardamenti sono proseguiti sul Kosovo e nella zona di Nis, dove secondo fonti serbe sei civili sono rimasti uccisi, e tredici feriti, nella distruzione di un viadotto. La capitale, dopo due giorni di respiro, torna a temere nuovi attacchi e soprattutto la distruzione dei ponti. La notte è iniziata con la distruzione della sede della pohzia di Valjcuo, 80 chilometri a sudest di Belgrado, della stazione di Pancevo e di un complesso chimico a Baric. l Il corpo d^.corrispono'en^e della Xlnhua ucciso e, a destra, Rugova con il Papa