Milosevic annuncia il ritiro dal Kosovo

Milosevic annuncia il ritiro dal Kosovo La Casa Bianca si scusa con la Cina. La replica: «Vogliamo un passo ufficiale». Cernomyrdin a Pechino per ricucire lo strappo Milosevic annuncia il ritiro dal Kosovo Ma Clinton e la Nato: «Non è vero». I bombardamenti continuano ALL'OMBRA DELL'OWH ROSSO Enzo Bettiza LA Cina può dire di no», è il titolo del libro cinese più antiamerikano di questi anni, una lunga serie di accuse che potrebbero essere controfirmate non solo da Cossutta e da Bertinotti. Ma anche, in segno di contrizione, dai servizi informativi della superpotenza planetaria che tempra l'intelligenza delle sue bombe su carte topografiche obsolete o false. Finora, su 17 mila incursioni aeree, svolte al ritmo di 800 sortite quotidiane, gli errori di bersaglio dei cacciabombardieri soprattutto americani sono stati contenuti entro margini minimi e per così dire fisiologici: un'inezia statistica, rispetto alla complessiva precisione di tiro e alle tonnellate d'esplosivo scaricate sulla Serbia. Non altrettanto si può dire della devastazione che ha ridotto in frantumi l'ambasciata cinese a Belgrado, con corredo di morti e feriti, e che ha frantumato altresì l'atteggiamento prudente e imbarazzato tenuto finora da Pechino nei confronti del conflitto che oppone l'America e la Nato alla «piccola Jugoslavia». Qui l'errore della Cia o dei piloti statunitensi ha compiuto uno sventato salto di qualità. E' diventato subito un grosso boomerang politico, più dirompente di tutte le tonnellate già lanciate sulla Serbia, che ora rischia di rendere ancora più tesi i rapporti difficili tra Washington e Pechino e di trasformare in arma micidiale il veto di cui i cinesi dispongono nel Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il «no» della Cina, che già prefigura il veto e l'imminente risoluzione antiamericana che essa stilerà insieme con la Russia nell'ambito delle Nazioni Unite, non si è fatto attendere. La piazza pechinese è esplosa. L'ambasciata americana è finita sotto assedio come ai tempi dei Boxer, il presi¬ dente Jiang Zemin si è negato alla telefonata con cui Clinton intendeva presentargli le sue scuse. Come se non bastasse, la brusca decisione del governo russo d'inviare da un momento all'altro Cernomyrdin in Cina, anziché in Serbia ha aggiunto un tocco più grave e perfino più piccante al deterioramento della situazione generale. Fino a ieri si paventava la formazione di un fronte panslavista attorno al Kalimegdan belgradese. Non assisteremo, adesso, al rischio di una rinascita che sembrerà ricompattare su un'unica spettrale trincea gli eredi dei tre comunismi, una volta circolarmente nemici, di Mosca, di Pechino e di Belgrado? Non rivedremo riemergere, come un'araba fenice, dalle ceneri della guerra fredda una fotocopia pericolosa del pancomunismo antioccidcntalista dei tempi andati? Intanto il volpino Milosevic non se ne sta con le mani in mano. Irrorato dalla manna piovutagli dai cieli celesti della Cina, ci fa sapere che le sue truppe, disinfestato il Kosovo dai kosovari, hanno già cominciato a ritirarsi. E tenta addirittura di cambiare le carte in tavola, con una denuncia per crimini contro l'America inviata a quei tribunali dell'Aia che stanno accumulando sul suo conto un dossier di prove per delitti contro l'umanità. Il carnefice, sentendosi coperto dal ricostituito asse Mosca-Pechino, torna a fare la vittima. Egli spera che lo scudo offertogli dai postcomunisti russi e cinesi possa proteggerlo sia dalle bombe occidentali sia dallo stiletto avvelenato di eventuali congiurati indigeni. Insomma, con qualche ragione, Milosevic mostra così di ritenere che l'aggancio alla confraternita bicontinentale dell'ex Oriente Rosso sia ormai la sua ultima ancora di salvataggio.