Rivoluzionare i servizi per rilanciare il Paese di Alfredo Recanatesi

Rivoluzionare i servizi per rilanciare il Paese F OLTREIALIRA Rivoluzionare i servizi per rilanciare il Paese Alfredo Recanatesi La EGOISMO è una categoria morale che difficilmente può argomentare ragionamenti di carattere economico. I richiami all'anima presentano la medesima difficoltà. Indagare sui motivi del deludente andamento delle attivila produttive e degli investimenti, dunque, postula un approccio più oggettivo che rispetti il principio secondo il quale le vicende economiche sono determinate da calcoli di convenienza; calcoli che certamente possono rivelarsi errati, ina che non possono essere corretti sotto la spinta di invocazioni di ordine morale. La nostra cultura di stampo cattolico ed umanitario è sensibile alle sollecitazioni in tal senso, ma quando si tratta di assumere rischi finanziari 0 imprenditoriali è, ed è bene che sia, tutt'altra cosa. Cosi come è stato proposto, dunque, il dibattito sul ruolo delle imprese nella attuale fase della nostra storia - «imprese senz'anima», come ha detto Ciampi, o «capitali amo egoista», come ha sostenuto Cofferati - non può avere altro risultato che quello di inasprire le relazioni tra governo, imprese e sindacati, di confondere i loro linguaggi, di asservirli ad uno sterile confronto ideologico, ed in definitiva di rendere ancor più difficile la individuazione del bandolo della matassa nella quale si va ingarbugliando ogni ipotesi di crescita della nostra economia. Se si parte dai dati disponibili di più collaudata significatività, si rileva che, accanto alla debolezza della domanda intema che è una costante da quando ebbero inizio gli aggiustamenti di finanza pubblica necessari per partecipare alla moneta unica, l'elemento negativo degli ultimi mesi, il fatto nuovo, è dato dalla flessione delle esportazioni e da un più contenuto aumento delle importazioni. Ne risulta chiara l'indicazione di una perdita di competitività, anche sul mercato interno, delle produzioni italiane rispetto a quelle del resto del mondo. Questa perdita di competitività ha effetti particolarmente pesanti per quel che riguarda gli scambi con i Paesi del Sud-Est asiatico le cui esportazioni hanno tratto un ancora maggiore vigore dalla svalutazione subita da molte loro monete. Si può concludere, quindi, che la causa più rilevante del ristagno della produzione industriale sta nella sua caratteristica di confrontarsi in primo luogo con 1 prodotti di Paesi a bassa tecnologia ed a bassi costi di produzione. Abbiamo già avuto modo di osservare in altra occasione che la scelta di competere sul costo di prodotti a basso contenuto di qualità e di innovazione era pressoché obbligata negli anni passati quando le condizioni operative erano variabili ed imprevedibili rendendo arduo puntare su contenuti di prodotto che richiedono la programmazione di investimenti per molti anni. Osservammo anche che nelle nuove condizioni operative di stabilità e di prevedibilità era necessario modificare quella scelta per sottrarsi al confronto con i Paesi meno sviluppati del nostro, con le cui condizioni operative non si potrà mai competere, e per trovare spazi nei mercati di prodotti più qualificali, più esclusivi, nei quali i concorrenti sono Paesi che hanno condizioni operative più simili alle nostre perché più simile è il loro livello di benessere e di organizzazione civile. Ora l'andamento della produzione avverte che il problema si sta ponendo ancor prima di quanto si potesse pensare. Non sono in gioco il bene e il male del nostro capitalismo, ma la tempestività con la quale il sistema manifatturiero va adeguando le proprie strategie al quadro di opportunità aperto da una finanza pubblica risanata e da una moneta comune con quasi tutta l'Europa continentale. A questo proposito conviene sgombrare il campo da un equivoco, quello delle imprese che trasferiscono la produzione in Paesi a basso costo come l'Albania o la Romania, per dire solo dei più vicini. Quei trasferimenti non sono altro che il mezzo attraverso il quale quelle imprese tentano di sopravvivere senza cambiare: hanno retto in Italia finché il cambio di tanto in tanto «compensava» i maggiori costi, ora che queste compensazioni non possono più avvenire non possono che abbandonare il campo. E' giusto e positivo che ciò avvenga. Il problema non sono le imprese che trasferiscono all'estero produzioni da Paese povero, ma la carenza in Italia di produzioni ricche, sofisticate, redditizie, esclusive, poco o per nulla esposte alla concorrenza di Paesi ad un più basso stadio di sviluppo. La possibilità che l'Italia mantenga l'attuale livello di benessere e di perequazione sociale passa per un sostanziale rafforzamento delle imprese dedite a produzioni al alto valore aggiunto, in competizione per qualità, innovazione e tecnologia con i Paesi più progrediti dove le condizioni operative sono simili alle nostre. Questo rafforzamento non si ottiene con le sollecitazioni di ordine morale, né con le guerre di religio ne, ma con la valorizzazione delle nuove condizioni operative che l'Italia può offrire e, se ciò non dovesse bastare come sembra, anche con misure concordate di politica economica e fiscale aggiuntive, purché mirate a favorire le produzioni più sofisticate, i programmi di ricerca, la formazione di professionalità ad alta specializzazione. I servizi evoluti Non è, ad evidenza, una azione anticongiunturale, ma l'avvio di una politica strutturale sulla quale governo, imprese e sindacati, messi da parte gli scambi di -battute e gli scontri ideologici, pos, sono trovare non pochi, né effimeri punti di incontro. Del resto, in sistemi economici liberi ed aperti le misure di tipo congiunturale hanno scarsa efficacia; riscuotono consenso, ma rischiano di camuffare per un po' i problemi piuttosto che risolverli. tostoj

Persone citate: Ciampi, Cofferati

Luoghi citati: Albania, Europa, Italia, Romania