«Troppe vittime in questa guerra»

«Troppe vittime in questa guerra» Il Presidente in Albania nel giorno dello choc per la bomba sull'ambasciata cinese «Troppe vittime in questa guerra» Scalfaro tra i profughi. Ditti: io resto ottimista Vincenzo Tassandoti Inviato a KAVAJA Quel missile, o bomba intelligente o deficiente, che poi è lo stesso, sull'ambasciata cinese a Belgrado davvero ha mandato in frantumi il mosaico messo insieme con pazienza e giorni di colloqui, approcci, offerte, proposte e minacce? Pare sospeso sul cielo di Kukes, quell'ordigno, e più tardi su quello di Kavaja. Nella sua ultima visita all'Albania, almeno come capo di Stato, il presidente Oscar Luigi Scalfaro deve avvertirne la presenza e quando gli viene chiesto un parere, alza lo mani come per dire «non licci», che l'argomento non può esser toccato. I bambini li, nella grande tendopoli, scandiscono: «Italia, Italia» e i grandi fanno loro eco, ma aggiungono: «Nato, Nato». Ed è fin troppo chiaro come la pensino, loro, gli esuli kosovari, di quella bomba. Ma c'è Lamberto Dini che non ci pensa neppure a evitare l'argomento del giorno e così dichiara che poche ore prima del bombardamento «c'era stato accordo fra quelli del G-8 e ora dobbiamo spingere quel documento come base per un dialogo. E se si apre un dialogo, finiranno anche i bombardamenti». Va bene, ma la bomba sull'ambasciata cinese comprometterà future trattative? Il ministro degli Esteri solleva appena lo sguardo che è tenuto con ostinazione basso, forse perché è difficile fronteggiare tutti quegli occhi di bimbi e di adulti che ti cercano senza cedere all'emozione. Dice: «No, questo è un elemento non voluto né desiderato. Naturalmente c'e forte rammarico, per quanto è accaduto. Però, ora, la palla è nel campo di Belgrado: sta a loro raccoglierla e giocarla. Non ci sono alternative», Ma per arrivare a un accordo è indispensabile essere in due: è fin troppo banale, ma Dini sente di doverlo sottolineare perché magari qualcuno fìnge di non saperla, una cosa così semplice. E allora, tanto per parlar chiaro: «E' bene che anche l'Albania e le sue autorità e i responsabili kosovari che sono in questa regione si rendano conto che non è al di fuori di questa cornice che abbiamo tracciato che si può trovare una soluzione. In particolare facilitare il rientro dei profughi». Insomma, lei è ottimista? «Lo sono, nonostante questo disgraziato evento causato dai bombardamenti». La gente era li intorno, a far festa. C'erano anche quelli della Protezione civile, naturalmente, uomini dagli sguardi «olirli e dai volti segnati e ragazzi ancora coi brufoli, ma dall'espressione altrettanto determinata. Tutti commossi, Scalfaro aveva parlato in modo dolce al loro capo, Piero Moscardini, e lo avevano capito tutti che non era una cosa preparata. «Lo incontro sempre dove sono avvenuti guai, in Versilia, in Umbria, nelle Marche e io sono andato a trovarlo, mi emoziona vederlo», aveva detto il Presidente. Una maratona, non una visita di cortesia, questa di Scalfaro, condotta a un ritmo inusuale e Rexhep Meidani, presidente albanese, ne è rimasto coinvolto. Prima tappa lassù alla frontiera maledetta, in elicottero, dove i profughi sono ancora ammassati a decine di migliaia. E qui l'elicottero presidenziale è servito anche a salvale due bambini malati, Parllako, di 4 anni, e Brahaj, di appena tre giorni, che sono stati portati d'urgenza in ospedale a Tirana mentre Scalfaro visitava il campo. A Kukes ieri sono arrivati altri duemila profughi, tutti dalla zone di Poe, stravolti, impauriti, furibondi con i serbi che, raccontano, non soltanto li scacciano ma li rapinano e li taglieggiano. Al presidente hanno mostrato un bimbo di pochi giorni e i genitori, con orgoglio, gli dicono di averlo chiamato Libero dai Serbi. Scalfaro rimane interdetto, non sa se prenderlo in braccio, quel frugoletto che porta un nome così impegnativo, poi lo bacia sulla fronte. Gli danno il pane caldo, lo acclamano. E lui, parlando in un megafono, dice: «Auguriamoci che terminino presto le violenze e anche i bombardamenti che stanno provocando vittime oltre le tragiche, indispensabili necessità della guerra». Quindi, per chiarire: «L'Italia vuole la pace e cerca la pace». Nel palazzo delle Brigate, che fu la residenza di re Zog, immerso nel verde sulla collina alle spalle dell'università di Tirana, il presidente riannoda il suo pensiero: «Crediamo che le indicazioni che sono uscite dal G-8 siano valide per farci uscire da una situazione di sofferenza e dolore. L'Italia ci mette tutta la buona volontà: desidera muoversi con gli alleati e farlo con questo popolo albanese in modo da camminare insieme verso la pace. Non ci illudiamo che le cose siano facili, ma l'esperienza ci dice che le guerre come tali non risolvono i problemi. La storia lo ha mostrato dolorosamente un numero infinito di volte». Dopo Tirana, Durazzo, nel campo degli italiani. Ed è il momento della nostalgia. Dice Scalfaro: «Si conclude qui il mio settennato». Oscar Luigi Scalfaro e Lamberto Dini Ieri a Kukes (Albania)