FRANK: L'ERMENEUTICA DEL LIBERO INDIVIDUO di Federico Vercellone
FRANK: L'ERMENEUTICA DEL LIBERO INDIVIDUO FRANK: L'ERMENEUTICA DEL LIBERO INDIVIDUO INDIVIDUALITÀ Manfred Frank a cura di Federico Vercellone Componotto pp 138 L 35 000 INTERESSE principale di questo saggio di Frank non risiede tanto nel dichiarato obiettivo polemico, poiché probabilmente né Vattimo né Derrida si attarderebbero oggi a decretare la morte del soggetto, quanto per il confronto critico con le principali teorie dell'autocoscienza sviluppate nell'ambito della cosiddetta Scuola di Heidelberg rappresentata da Dieter Henrich e, sul versante opposto, quello della filosofia analitica, in particolare da Peter Strawson (individui, Feltrinelli) e da Ernst. Tugendhat ( Autocoscienza e autodeterminazione, La Nuova Italia). Questi ultimi recidono ogni legame con le dottrine idealistiche dell'autocoscienza proponendo di retrocedere dall'Io (il soggetto trascendentale o assoluto) all'io, quello empirico identificabile nello spazio e nel ppdentale o assoluto) all'io, quello emptempo, la cui attività di coscienza può essere esaurientemente descritta da una proposizione dichiarativa. Per evitare il ricorso ad un accesso privilegiato all'intimità della coscienza soggettiva, i filosofi analitici propongono una formula che Tugendhat definisce «simmetria semantico-veritativa» secondo la quale ciò che io affermo riguardo a me stesso deve poter trovare un correla¬ tivo in qualcun altro che mi attribuisce gli stessi predicati: «sono triste» è vero se e solo se qualcun altro può affermare: «egli è triste». L'obiezione di Frank a questo esempio di riduzionismo behavioristico consiste essenzialmente nel rilevare che tale rinvio tra l'io e il tu che mi descrive come egli pressuppone un contesto dialogico intima¬ mente condiviso dai due partners. In realtà, la critica all'approccio analitico potrebbe essere ben più radicale: e se l'altro non percepisse la mia tristezza per ragioni di ordinaria insensibilità, di opacità del vissuto, per egocentrismo o a causa di meccanismi proiettivi, per la rimozione di esperienze spiacevoli? In tutti questi casi, certamente consueti, la mia tristezza perderebbe ogni valore di verità, non riconosciuta e relegata nell'insignificanza di un linguaggio privato. Ma, si potrebbe obiettare, essa non diventerebbe ancora più vera (e inconsolabile) proprio perché nessun altro la percepisce? In termini più generali, che coinvolgono l'affollato dibattito tra analitici e continentali: la filosofia può ancora avvalersi di strumenti di analisi psicologica per comprendere la complessa stratificazione dell'Io (empirico-trascendentale) o deve limitarsi a recepire i dettami proposizionali dell'antropologia linguisticamente dispiegata, come vor¬ rebbero i sempre più numerosi nipotini di Wittgenstein? Non sarà finalmente opportuno, nell'elaborazione di una teoria della soggettività, attribuire piena cittadinanza a concetti quali l'autoinganno (Elster), la patologia della comunicazione (Habermas) fino a recuperare la nozione schleiermacheriana di fraintendimento? A tal proposito, sembra piuttosto significativo che, proprio richiamando il nume tutelare di Schleiermacher, Frank delinei la propria «concezione ermeneutica dell'individualità», in cui il soggetto nel corso dell'esistenza acquisisce molteplici predicati, li comprende, li interpreta e se li attribuisce secon do modalità differenti, mai riconducibili a regole un i versa li e vincolanti, mantenendo sempre quella fondamentale libertà di prospettiva che gli consente di modificare la propria identità attraverso nuove attribuzioni di senso. Marco Vozza
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