LO PSICHIATRA E' UN CLOWN CHE FA PARLARE IL DOLORE

LO PSICHIATRA E' UN CLOWN CHE FA PARLARE IL DOLORE LO PSICHIATRA E' UN CLOWN CHE FA PARLARE IL DOLORE Un funambolico mediatore in bilico tra normalità e follia CCORRE innanzitutto chiarire un punto, a proposito de II clown sul divano: il divano del titolo rimanda non solo all'analisi ma più generalmente all'incontro terapeutico (e in particolare alla terapia delle psicosi) e il tonnine clown è qui sinonimo onnicomprensivo di buffone, pagliaccio, giullare, folle, fool. A partire da un classico sull'argomento (William Willeford, // Fool e il suo scettro, Moretti e Vitali, 1998), l'autore definisce la figura del clown (immagine archetipica ambivalente e paradossale, sul confine tra maschile e femminile, pensiero magico e pensiero logico, stupidità e genialità, cecità e veggenza, normalità e follia, bene e male, vita e morte, ordine e caos), ne dà un essenziale profilo fenomenologico e antropologico, e propone il clown come modello dell'agire psicoterapeutico. Ispirarsi alla funzione mediatrice del clown, nemico dei confini invalicabili e di ogni ruolo troppo stabile, consente infatti di superare la distinzione rigida tra folle e non-folle, di muoversi in una dimensione ambivalente (non è ambivalente la struttura stes (non è ambivalente la struttura stessa della psiche?) e perciò benefica, poiché non stritola l'Io in schemi rigidi e permette di oscillare liberamonte da una all'altra delle molte dimensioni della realtà (una dello quali è la psicosi). Alla dimensione borderline del clown si ispira la presenza del terapeuta che, aderendo a un'idea di psichiatria come scienza di confine, si confronta con l'esperienza psicotica: presenza che per molti versi è ambigua e richiede tanta follia da permettergli di entrare nel regno del folle, e tanta consapevolezza da aiutarlo senza interferire manipolatoriamente a percorrere il suo camminoe a indicargli, senza mai imporgliela, la possibilità del vivere rispetto al morire (psicologico o biologico). Come il clown, il terapeuta deve muoversi nella confusione: tra i vissuti abnormi del paziente e la realtà, tra la propria follia e la propria normalità, tra i linguaggi attraverso i quali la follia si esprime e quelli con cui viene descritta. Operando in modo funambolico, ma entro i modi di una relazione assolutamente autentica, si può penetrare il senso del delirio per condividerne lo spazio con il paziente, o diventare ora attore ora coro (che comunica con il pubblico dei «normali») del suo dramma. Nella fiaba e nel mito, come ha insegnato Propp, all'eroe si affianca un aiutante che rende possibile la sua impresa (entrare noi regno dell'Aldilà). L'aiutante ha spesso tratti clowneschi e, proprio come il clown, ó capace di mantenere una relazione tra l'ordine e il caos. Allo stosso modo il clown-terapeuta non sostiene la follia o la normalità, ma si limita ti relativizzarle entrambe, e perciò stesso le rende meno lontane e inaccessibili l'una all'altra. Il dialogo tra normalità e follia trova d'altronde un'illustrazione esemplare nel rapporto intercorrente tra il Bianco e l'Augusto, che Moretti legge junghianamonte come dialettica psicodinamica tra Senex e Puer, tra istanze superegoiche e Ombra, tra storile normalità e potenzialo creatività della follia. da Shakespeare a Beckett. In Shakespeare è lo stesso eroe tragico a incarnarsi nel Matto: Re Lear, uscito misteriosamente di scena il suo Matto, ne assume egli stesso il ruolo, e Amleto si ritaglia una parte di Matto nella recita della follia della Storia. Nel paziente psicotico è contenuto l'intero dolore dell'uomo, e dunque il microcosmo del paziente è specchio della condizione umana: anche di quella dello psicoterapeuta che, standogli accanto, intuisce la possibilità del vuoto assoluto, del nulla, della mor- te anche in se stesso. Ma il dolore psicotico nella sua assolutezza è oltre-umano, sovraindividuale, mitico, superiore alla capacità umana di integrare la sofferenza. Compito del terapeuta sarà traghettarlo verso la condizione umana, «bisognosa, angosciante, ma desiderante e tesa alla realizzazione umana di bisogni e desideri, in una situazione in cui l'uomo non resti schiacciato sotto la sua sofferenza, ma acquisti dignità attraverso la consapevolezza che il soffrire è costitutivo della natura umana». Partecipe di questo dramma, il terapeuta-clown vive nel tragico, che tuttavia è più accettabile di una stagnazione paludosa, di una condizione da uomini vuoti cui manca il sentimento del tragico, la cognizione del dolore e la possibilità della trasformazione. Si capisce allora perché il libro si apra con l'immagine del Cristo-Arlecchino dipinta da Rouault: l'esperienza del disordine (della follia) è in ultima analisi l'esperienza del dolore, esperienza religiosa perché mette scandalosamente in dubbio le placide sicurezze del senso comune e dell'ordine costituito e allude a un altro ordine cui l'uomo potrà pervenire solo cambiando se stesso, e perché richiede dai due compagni di viaggio - il paziente e il terapeuta - un coinvolgimento profondo, un atto reciproco, secondo Gaetano Benedetti, «di fede, speranza, carità». Il tema della speranza, centrale nel capitolo dedicato alla speranza nella malinconia, è un leit-motiv che ritorna costantemente in Un clown sul divano: speranza che l'esperienza schizofrenica abbia in sé anche un potenziale creativo e sia talvolta una «sindrome di rinnovamento», speranza che sia possibile l'incontro tra chi è nella norma e chi è al di là della norma, speranza che il dio che è nella malattia non venga schiacciato insieme alla malattia, speranza che «ogni Io sperduto nella psicosi o alienato nella normalità» - ma poi anche ogni struttura sociale - ritrovi la via del rinnovamento e del significato. Speranza che, come nell'immagine onirica disegnata da una pazienza depressa, in pieno corteo funebre compaia inaspettato un clown multicolore, un Arlecchino che balla. Renato Oliva La figura del giullare A destra John.H. Conway in una caricatura diS. Fraser vuoto assoluto, del nulla, della mor- Quo sto, neces saria mente approssimativo, resoconto delle te maliche del libro, se basta a segnalarne l'originalità, non rende tuttavia giustizia alla ricchezza e alla complessità di un discorso orientato secondo una prospettiva che coniuga felicemente psicologia analitica junghiana e psichiatria fenomenologica, sostan ziato da molti materiali eli nici puntualmente interpretati, e permeato da una profondo cognizione dol dolore. Non stupisce che del dolore della condizione psico tica sia testimone, interprete e compartecipe il clown. Il connubio di comico e tragico è tipico di molta grande letteratura, della natura umquesto dramma,vive nel tragico,accettabile di undosa, di una convuoti cui mancatragico, la cognizpossibilità della Si capisce alloapra con l'immalecchino dipl'esperienza dfollia) è in ultirienza del dolorgiosa perché mette in dubbio ledel senso cocostituitaltro potrà pbianccgfondo,secondti, «di fetà». 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Il connubio di comico e tragico è tipico di molta grande letteratura, Buffone, pagliaccio, giullare, fool : come nel teatro di Shakespeare e Beckett ciré nel tragico e cerca nella sofferenza una via alla speranza UN CLOWN SUL DIVANO Giovanni Moretti Moretti fi Vitali PP L 28000