MONTALE: E' MANIMAN IL SEGRETO DEL NOBEL di Giuseppe Marcenaro
MONTALE: E' MANIMAN IL SEGRETO DEL NOBEL MONTALE: E' MANIMAN IL SEGRETO DEL NOBEL MONTALE Giuseppe Marcenaro Bruno Mondadori pp. 224 L. 16.000 ONTALE dalla A alla Z? Si può contenere il nostro penultimo (ultimo?) Nobel in un'enciclopedia? Non fu lui stesso a predire: «Galleggeranno le dispense Fabbri sull'homo faber»? Eppure Giuseppe Marcenaro, depositario di segretissime carte letterarie, ligure levigatissimo come uno scoglio, ha saputo nuotare di vocale in consonante, dalla A alla Z, mai affogando nel burocratico ordinare, nel pedissequo catalogare. E' vitalissimo il dizionario che correda - da «Accordi e pastelli» a «Voce» - la biografia di Eusebio in uscita per i tipi Bruno Mondadori, collana «Biblioteca degli scrittori». Un succedersi di parole crepitanti, ciascuna confezionata e porta con gusto, con sapiente e efferata arte, una giostra di bauletti dove i fedelissimi felicemente attingono, scoprono, ri-scoprono, indovinano. Prima vita postuma di Montale, questa. (Toccò a Giulio Nascimbeni attingono, scoprono, riscoprono, iPrima vita postuma di Montaleritrarre il poeta in carne e ossa.ancora nell'ai di qua). Una vita, beninteso, sui generis, sussurrata, solfeggiata, sospesa fra il dire e il non dire, un costume - rammenta l'autore - «molto genovese, ossia molto montaliano». Nulla di accademico, sbarrati i sentieri di sempre, il ferreo ordine cronologico come il ferreo ordine tematico. A lievitare, di pagina in pagina, è un divertito aggirarsi nell'opera e nei giorni di Eugenio, mescolandonon confondendo, selezionandonon scartando, facendo brillarenon incendiando. Tutto è un po«sotto vetro», come la Torino che si manifestò al giovane rabdomante degli Ossi di seppia, accolti nesubalpino catalogo gobettiano. «Leggerei volentieri lo scritto del Marcenaro.. » suona l'epigrafeUn desiderio che Montale - correva il 1976, l'anno successivo alla laurea svedese, al Nobel - comunicò per lettera al critico Angelo Marchese. «Si riferiva - spiega il Marcenaro - a una prova comparsa sulla rivista che allora curavo, Pietre: esploravo le radici genovesi di Eusebio. Un legame intenso, sempre coltivato, difeso, di certo mai ostentato. Ricordo l'unica volta che lo incontrai, nella milanese via Bigli: volle che parlassi in dialetto, mi stupì la profonda conoscenza della città che rivelò. Discesi le scale orgoglioso, in tasca due Uriche». La humus genovese di Montale è la costante del lavoro. La cifra che ovunque scorta Eusebio, a Firenze, a Milano, nelle estati versatesi, fuori di casa. A piccoli e concitati passi ecco avanzare «un borghese allarmato, incapace di formulare scelte nette e precise, l'elogio della lamentela come forma esistenziale». Inchiodato - non esita Marcenaro - «dall'alta dichia- razione di incompatibilità che si riassume nella più deformante e agghiacciante espressione del dialetto genovese: maniman». Formula che condensa al diapason l'aspirazione di non essere travolti, forse neppure sfiorati, dal corso delle cose. Una sorta di amuleto, quasi intraducibile: «non si sa mai» in italiano, «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo», nel linguaggio poetico, come non sfugge all'impertinente biografo. Perché il Montale distillato nell'officina di Giuseppe Marcenaro è una lunga, raffinata malizia, un oscillare fra l'oro e il fango, intonatissimo alla verità che pulsa in Satura: «La poesia e la fogna, due problemi mai disgiunti». Viltà e umiliazioni, compromessi e altri inferni, fughe e rese (l'inarrivabile, inconnu universo femminile, le donne «cui ambì senza ambire», unica eccezione, pare, la Volpe, Maria Luisa Spaziani: «Per la prima volta questo amore era stato per lui completo, lo aveva coinvolto in ogni senso rispondendo a ogni sua attesa, a ogni sua aspirazione»). Giovanissimo, Montale aveva inciso nel Quaderno genovese: «Se nella mia vita non scocca - e presto - una scintilla, io sono un uomo finito. Ma quale scintilla?». Sarà Bobi Bazlen la folgorazione, «la finestra spalancata su un nuovo mondo», l'incontro (ancora al chiarore della Lanterna) che lo sottrarrà a un destino minore, gregario, che lo rassicurerà circa la necessità della scommessa poetica. («Comincia ad andare meglio, non ho nessuna voglia di fare quello che vorrebbe la mia troppo stimata famiglia ed ecco che in un attimo invisibili fili a me si asserpano farfalla in una ragna di fremiti di olivi di sguardi di girasoli godi se il vento eh entra nel pomario ti rimena l'ondata della vita»). Profilo critico, il Montale di Marcenaro? Sicuramente, ancorché a sé. Marcenaro sa, come il Forster di Camera con vista (una presenza fiorentina), che la verità non di rado pulsa, abita, nel particolare, nel frammento, nel cono d'ombra. Tanti, troppi i luminari delle Belle Lettere depistati. E dire che Eusebio avvisò: «Abbiamo voluto camuffarci / come i prostituti nottivaghi / per nascondere meglio le nostre piaghe / ma è mutile, basta guardarci». Bruno Quaranta Eugenio Montale: la biografia di Marcenaro esplora le radici genovesi di un'ispirazione via via elevatasi fino a meritare il Nobel
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