Città chiusa per i profughi? E' polemica di Francesco La Licata

Città chiusa per i profughi? E' polemica I primi kosovari arrivano nell'ex base di Comiso. Ma ci si divide sui sistemi di accoglienza Città chiusa per i profughi? E' polemica // sindaco: «C'è rischio». Il vescovo: «Non sia un lager» Francesco La Licata inviato a COMISO Più di duecento volontari lavorano ininterrottamente per dare forma ed efficienza a «Kosovo City», la cittadella che sta nascendo dall'ex base Nato installata nell'aeroporto «Vincenzo Magliocco» di Comiso. Tutto è pronto per accogliere i primi (dei cinquemila previsti) trecento profughi che il ponte aereo Skopje-Sigonella trasferirà dall'inferno dei campi della Macedonia in questo tranquillo angolo di Sicilia. Persino un pranzo kosovaro preparato da Mario Califano, cuoco calabrese corso qui a dare una mano. E lavora la Protezione civile, lavorano gli uomini del Comune, della Prefettura, della Provincia per mantenere gli impegni presi col governo nel momento in cui si è deciso di alleggerire la pressione dei campi macedoni, portando in Italia una «quota» di diecimila kosovari. Si lavora, ma con un pensiero fisso rivolto alla condizione che assumeranno gli uomini, le donne, i bambini ospiti del campo di Comiso. Cinquemila nuove presenze, in una comunità che non supera le trentamila unità, non è realtà da sottovalutare. Lo sanno bene i rappresentanti del governo, lo sanno il questore, il comandante dei carabinieri e soprattutto il sindaco di centrosinistra, Giuseppe Digiacorno, che per la disponibilità offerta al governo centrale ha già ricevuto più di un attacco dall'opposizione. Tra l'entusiasmo dei volontari, la voglia di lavorare per rendere più accoglienti le villette - da non disprezzare affatto - che furono abitate dai soldati italiani ed americani, per tutta la giornata è rimbalzato il quesito: la base si trasformerà in una sorta di campo di concentramento, chiuso, con divieti di entrata ed uscita? Il dibattito tiene banco e tutU hanno voglia di esorcizzare per gli ospiti lo spettro di una sorta di libertà vigilata. Ovviamente nessuno azzarda risposte certe. Si sta sul vago. Ma non il sindaco, che - alla fine - è quello che ha preso una posizione e la mantiene anche dopo avere appreso da una nota proveniente da Roma che lo «status» di rifugiati non prevede limitazioni di sorta. «Credo - dice Digiacomo - che sia opportuno soltanto seguire il buonsenso. Noi abbiamo il dovere di proteggere questa gente. Di proteggerla dalle insidie che anche un territorio apparentemente tranquillo come il nostro può nascondere». Ed aggiunge a chiarimento: «Sarebbe un umanitarismo fasullo e controproducente quello di lasciare agli eventi il futuro delle cinquemila persone che vogliamo sinceramente aiutare. Non li aiuteremmo se li esponessimo, per esempio, alle mire della criminalità organizzata. Ci hanno detto che arriveranno molte donne: se si dovessero disperdere sul territorio chi garantirà che non cadranno nelle mani di malintenzionati e di sfruttatori»? Gli uomini della protezione civile, raccontando di esperienze precedenti nei campi albanesi e macedo- ni, giurano che il problema si presenterà molto relativamente perché «questi non sono clandestini, sono persone che attendono solo il momento di poter fare ritomo nelle loro case». «Semmai - interviene il sin¬ daco - saremo noi ad andare da loro. Certo, col tempo si può pensare ad organizzare uno scambio tra dentro e fuori, attività di socializzazione, animazione, spettacoli e cultura. Ma credetemi, nei mimi temni i veri problemi saranno quelli di garantire una esistenza civile a tutti e cercare di cancellare il ricordo della tragedia che li ha colpiti». Non è esattamente su questa linea il vescovo di Ragusa, monsignor Angelo Rizzo, che un ruoto da protagonista ha avuto nella scelta della base di Comiso come principale centro di accoglienza. Una sua lettera, al presidente D'Alema e al ministro Jervolino, ha indotto il governo a chiedere la disponibilità all'amministrazione comunale di Comiso. E il sindaco, che al vescovo aveva detto di no, alla fine si è lasciato convincere. Ora monsignor Rizzo parla di «qualcuno che nicchiava, ma che ha poi preso atto che non si poteva rimanere immobili di fronte alla tragedia dei Balcani». Allo stesso modo, da prete di strada più che da vescovo, ora chiede che «non si trasformi il villaggio in un campo di concentramento». Gli ospiti devono essere «liberi e protetti». In sostanza, il vescovo auspica che soprattutto i cittadini di Comiso - «brava gente, podoIo laborioso e civile» - si facciano responsabili del sostegno materiale e morale ai «fratelli più sfortunati». Ce la farà, Comiso? «Se non ci saranno mestatori - è la risposta di monsignor Rizzo - non sorgeranno problemi». Mestatori? «Abbiamo il dovere di proteggere questa gente. Si sentono in giro cose raccapriccianti: prostituzione, traffico di organi., insomma la strada è piena di trappole. Siamo noi, principalmente noi comunità, noi cristiani, che dobbiamo garantire la loro integrità». Rimane, perciò, aperto il dilemma: liberta o limitazioni per i profughi? L'argomento è stato trattato anche in una riunione del Comitato per la sicurezza. Non sembrano uscite certezze. Per prima cosa, è stato chiarito, bisognerà provvedere all'identificazione dei singoli e dei nuclei familiari per concedere, poi, il permesso di soggiorno temporaneo. E ci vorrà oualche (riorno.

Persone citate: Angelo Rizzo, D'alema, Digiacomo, Giuseppe Digiacorno, Jervolino, Mario Califano, Vincenzo Magliocco