Da Stankovac a Comiso con la voglia di tornare

Da Stankovac a Comiso con la voglia di tornare PONTE AEREO SCATTA L'ORA X Da Stankovac a Comiso con la voglia di tornare reportage Francesco Grigrtetll Inviato a SKOPJE LB ITALIA ha la faccia pao™ riazza di un bersagliere, con il fez rosso di traverso e una stropicciata lista in mano. Accento merìdionalissimo. «Ma questo nome come cavolo si legge?». Accanto a lui, l'interprete sbircia l'elenco e strilla al megafono: «Osman Beqiril... Besnik Recical... Xhafer Leriqil». In tre fanno un passo avanti tra il fango e entrano nel tendone «Casa Italia». E' cominciata la registrazione dei trecento fortunati che lasciano il campo-profughi di Stenkovac per andare a Comiso, Sicilia. A montare la tenda, che funge da consolato, hanno pensato i militari. E là dentro, per tutto il giorno, i funzionari dell'ambasciata, assieme ad ufficiali dell'esercito e al personale dell'Acnur, preparano il ponte aereo che, da oggi, unirà per i prossimi giorni l'Italia alla Macedonia. Il governo di qui preme perché vengano portati via i profughi. Ieri si é precipitato Staffan De Mistura, inviato dell'Orni, che insieme agli ambasciatori occidentali ha spiegato al governo macedone che è questione di giorni. E che cacciare i profughi, o chiudere le frontiere, significherebbe escludersi dal Piano Marshall che già si profila all'orizzonte. Novità ci sono anche in Albania: un altro inviato dell'Orni, Denis McNamara, si è precipitato ieri a Kukes per annunciare che tutti i profughi che si trovano laggiù dovranno essere trasferiti lontano dalla frontiera con il Kosovo che à «zona troppo pericolosa». Da ieri, intanto, a Stankovac, la tenda italiana ò entrata in azione. Tre tavoli da campeggio, qualche sedia, due computer portatili, luci. I militari montano di guardia all'entrata e all'uscita. Un centinaio di capifamiglia ora si accalcano fuori dal tendone, ma presto avranno una villetta aggiustata di fresco a Comiso e un permesso di soggiorno umanitario, come annunciato ieri dal ministro Jervolino. E già sono guardati con invidia da tutti gli altri. Fare presto, dunque. Besnik Recica, 33 anni, in tuta e giaccone, entra. E' il suo turno. Al primo tavolo ci sono quelli dell'Orni che controllano la lista. Quanti siete? Da dove venite? Data di ingresso nel campo? Ok. Tutto torna. Besnik è davvero lui e vuole andare in Italia. Il signor Skodra Sabri, ad esempio, ha declinato l'invito perché nel campo gli é morta l'anziana madre e lui ancora non l'ha sepolta: senza funerale non si muove. Besnik passa intanto al secondo tavolino. Un ufficiale dei bersaglieri gli fa una fotografia con una Polaroid. Intanto registrano al computer i suoi dati. La stampante sforna un modulo. Si allega la sua foto. Altra copia: il foglietto viene ritagliato, arricchito di foto e plastificato. Besnik ha adesso in mano un prezioso documento clie permetterà a lui e ai suoi dieci familiari di lasciare la Macedonia. «Non te lo perdere. Non darlo a nessuno. Fatti trovare all'autobus alle 7 con tutta la famiglia e potrai partire», lo catechizza un ufficiale. Terzo tavolo, si preparano le liste dei voli. A partire da oggi, ci sono tre aerei che faranno la spola. Besnik finisce sul volo 1C, che significa il terzo della prima serie. «Niente armi, niente droga, niente esplosivi», gli dicono al momento del congedo. Lui ascolta la traduzione e annuisce sono. Ci sarebbe un «cugino»... Tutti questi kosovari hanno trovato un «cugino» o un «fratello» nella notte che vorrebbe aggiungersi alla comitiva. Però quelli delTAcnur sono inflessibili. Le liste ormai sono fatte. Tu, Besnik, perché hai chiesto di andare in Italia? «Ma io non ho fatto nessuna domanda. Avevamo chiesto la Germania perché mia moglie ha lì i parenti. Però non é stato possibile. Così va bene anche l'Italia. Purché sia breve. Io voglio tornare presto in Kosovo. Insegnavo matematica alle scuole medie. Voglio tornare a insegnare. Nel frattempo, organizzerò una scuola per i nostri bambini». La corsa verso l'Italia, dunque, comincia cosi. Per caso. Nessuno di lo¬ ro lo aveva chiesto. Molti avevano semmai indicato il Nord Europa. Perché 11 hanno i parenti. Perché conoscono il tedesco o l'inglese. Dice Osman Beqiri, che era commerciante di scarpe: «Ho perso sei case, due negozi, due macchine e due camion, più la merce: un patrimonio da un milione di marchi, un miliardo di lire». Ora è completamente rovinato: «Io non so niente dell'Italia, Di sicuro sarà meglio di questo campo, dove vivo da un mese nella sporcizia. E grazie alla Nato torneremo presto a casa e ricomincerò». Né pensava all'Italia il signor Veselaj Haxmi, 64 anni, pensionato, una vita trascorsa in una fabbrica di porcellane. «Ho perso la mia pensione. Gli italiani mi daranno la pensione?». I primi trecento hanno già il loro «visto di soggiorno umanitario» in mano. A partire da oggi, ci sono tre aerei che faranno la spola Bambini giocano su un piccolo velivolo abbandonato nel campo profughi di Stankovac iSMI