«In Kosovo ero un prigioniero» di Aldo Cazzullo

«In Kosovo ero un prigioniero» «In Kosovo ero un prigioniero» Aldo Cazzullo ROMA A pranzo, nell'appartamento privato del presidente del Consiglio, al terzo piano di Palazzo Chigi, ha raccontato a Massimo D'Alema (in francese) di Pristina, «vi/te vide» «città vuota», «una specie di giardino zoologico: solo animali, niente uomini». Ha rìso, quando Armando Cossutta gli ha raccontato che, quando a Belgrado faceva il suo nome, tutti gli rispondevano: «Rugova è libero e può venire in Italia in ogni momento». Con Giorgio La Malfa ha rievocato l'incontro del '95 a Pristina. A Luigi Manconi ha ricordato di aver conosciuto nel '91, in Kosovo, Alex Langer. Con Walter Veltroni, che gli chiedeva del significato del suo arrivo a Roma, si è schermito: «lo ero un prigioniero», ha risposto, come se si sentisse più un profugo che un mediatore. Questa almeno è l'impressione che Ibrahim Rugova ha lasciato al premier e ai segretari di partito. Anche se il suo arrivo, ha spiegato D'Alema ai collaboratori, «va considerato comunque un segnale positivo», analogo alla liberazione dei soldati americani: un gesto di buona volontà, più che una mossa che sottende un piano; «sarà nostro compito - è il ragionamento del premier - valorizzare appieno il suo ruolo». La sveglia, ieri mattina a Villa Pamphili, la dà il telefono. Chiama- ta dal Foreign Office: è Robin Cook, ministro degli Esteri di Blair. Poi da Bruxelles telefona Javier Solana, che, posata là coniotta, commenta: «Rugova è ancora lui». Chiamano anche i fedelissimi: il pruno è Hafiz Gagica, plenipotenziario a Borni. All'uscita dalla villa, alle 13 meno 5, tra i fotografi si fa largo una ragazza, che picchia sui vetri azzurrati dell'auto blu: è Tonika Shahini, 24 anni, da tre sua collaboratrice c vicina di casa a Pristina - «abito a due isolati» - , Rugova le sorride. Poi via, seguito da un'auto di scorta, verso Palazzo Chigi. A pranzo, con D'Alema, si parla di storia - l'ospito ha ricordato le «radici cristiane» del Kosovo - e di politica. «Ci à pareo sereno, scosso ma non nevrotico, né angosciato, e anche sorpreso dall'accoglienza», dirà uno dei commensali. Rugova si dice concorde con la linea del G-8: la forza di intervento nel Kosovo dev'essere militare, come ripete al telefono a Madeleine Albright e di persona all' inviato Usa Christopher Hill. «Facciamo due passi?», propone il premier. Sul portone di Palazzo Chigi, alle 14 e 40, Rugova incontra Luigi Manconi (invitato da D'Alema, che lo presenta come «le premier Vert»). Manconi gli porta i saluti dei parenti che vivono ad Artena, vicino a Roma. «Saranno diventati cattolici», celia il leader musulmano. D'Alema risponde alle domande dei passanti: «Sì, ci sono spiragli di pace». Rugova firma autografi, risponde con un cenno al saluto di una scolaresca, dà prova al premier, che gli parla fitto, di conoscere il Pantheon: «Sono stato a Roma un anno e mezzo fa. So del Giubileo. Auguri». Il traffico di Piazza Colonna lo stordisce. D'Alema lo prende per mano. A Palazzo Chigi li attendono Fini, Casini, Bertinotti, Cossutta, Veltroni, La Malfa, Mattartela, Boselli, Cornino. «La pulizia etnica non ò cominciata con i bombardamenti - racconta Rugova ai leader di partito -. Nell'autunno scorso Milosevic ha cominciato a svuotare i villaggi. Ora è passato alle città. I serbi lo sanno? I miei amici a Belgrado giurano di no». Alle 16, al Quirinale da Scalfaro, che nei giorni scorei ha sostenuto con D'Alema la proposta di conferire a Rugova la cittadinanza italiana. Alle 18, conferenza stampa nell'ex carcere minorile di San Michele: pallido, smagrito, foulard blu, cravatta arancione, mani sempre intrecciate, sguardo verso il basso. Telefonano anche Berlusconi, Cossiga, Mastella, Marini. In serata arriva Jack Lang per un invito a Parigi. Accettato.