«Aiutateci a tornare nelle nostre case»

«Aiutateci a tornare nelle nostre case» Il leader kosovaro lancia la sua proposta: «Una forza di protezione e ritiro dei militari serbi» «Aiutateci a tornare nelle nostre case» D'Alema a Rugava: «Pacepiù vicina» ROMA erutti i profughi devono poter tornare nelle loro case dopo il ritiro dei militari serbi e grazie ad una forza di protezione intemazionale che comprenda la Nato». Questa la richiesta fatta dal leader kosovaro Ibrahim Rugova comparso per la prima volta in pubblico dall'inizio della guerra nella Sala dello Stenditoio dell'istituto San Michele a Ripa, affiancato dal presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, e dal ministro degli Esteri, Lamberto Dira Teso e dimagrito, Rugova ha paria» poco, ma assai chiaramente per definirti la sua posizione sulla guerre ed allontanare i sospetti di complicità con Belgrado, dovuti ai suoi incontri con il presidente serbo, Slo bodan Milosevic, mentre infuriava la pulizia etnica. «Io sono per la resistenza non violenta, sono un uomo di pace e non di guerra» ha tenuto subito a chiarire, sottolineando che «tutti i kosovari sono per una soluzione pacifica». Sulle tappe da seguire non ha avuto esitazioni: «L'esilio mio e del mio popolo deve finii*, bisogna compiere ogni sforzo per far tornare i profughi a casa, per riempire di nuovo il Kosovo» e le «condizioni-chiave» affinchè ciò avvenga sono «il ritiro delle forze serbe» e lo schieramento sul terreno «una forza internazionale di pace, comprendente Paesi della Nato». Rugova ha un'abilità tutta balcanica nell'uso dei termini : quando denuncia aggressioni e violenze contro i civili parla di «serbi», quando si riferisce a Milosevic dice «presidente jugoslavo». Per lui il nemico non è la Federazione, ma i militari serbi. Davanti ai sospetti di intese segrete con Belgrado si è difeso: «Ho incontrato il presidente Milosevic per portare avanti il processo politico, per creare un clima di fiducia fra noi». La scommessa di Rugova è sul negoziato con Belgrado «basato sull'accordo di Rambouillet che noi Ormammo e i serbi no» e non sulla lotta armata della guerriglia dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck). Rugova non si è tirato indietro davanti al difficile nodo degli equilibri inter-kosovari. «L'Uck? Sono patrioti che hanno risposto alla necessità di difendersi - ha sottolineato - ma anche loro sono per una soluzione politica che ponga fine all'immane tragedia che colpisce il Kosovo a causa della repressione scatenata dai serbi». «Oggi è difficile parlare di pace ma chiedo il vostro aiuto e mi appello a Belgrado» ha aggiunto, ringraziando al governo italiano e don Vincenzo Paglia» della Comunità di Sant'Egidio per gli sforzi profusi affinché potesse lasciare la Federazione Jugoslava. Seduto al suo fianco, Massimo D'Alema si è rivolto a lui come «al simbolo di un popolo», lo ha chiamato ripetutamente «presidente» dei kosovari che devono tornare «liberi e sovrani nel loro Paese». Parole forti, destinate alle orecchie attente dell' Uck indipendentista che il governo italiano vorrebbe presto seduto a fianco di Rugova. «L'Uck ò una delle fazioni che combatte e che ha la sua ideologia, ricordate che in Kosovo c'è la guerra, ma tutti devono essere disarmati, a cominciare dai serbi, perché deve rimare un'unica forza, quella dell'Orni» ha aggiunto. L'ipotesi di un Kosovo diviso da Belgrado non trova sostegno neanche a Washington. Il sottosegretario di Stato aggiunto agli affari politici, Thomas Pickering, ha parlato ieri a Roma «del futuro politico» dei Balcani auspicando «una larga autonomia e non l'indipendenza per il Kosovo» e anche l'emergere di «una Serbia democratica». D'Alema ha espresso a Rugova la «solidarietà degli italiani», salutando il suo arrivo come «il segnale della volontà di Belgrado di negoziare» ed affermando che dopo l'accordo raggiunto al G-8 di Bonn fra i Paesi occidentali e la Russia «la pace è più vicina ma non immediata» perché «la parola definitiva dipende da Milosevic». Anche per Lamberto Dini, reduce dal G-8, «ci stiamo avvicinando ad una soluzione grazie alla definizioni dei principi di pace» destinati a diventare presto il testo di una risoluzione dell'Orni. «Abbiamo informato dei risultati raggiunti a Bonn anche la Cina», ha sottolineato Dini guardando già al voto del Consiglio di Sicurezza, dove Pechino ha il diritto di veto. «Dopo la guerra, l'Italia vi sarà vicina», ha infine promesso D'Alema, con alle spalle il drappo tricolore e quello blu dell'Ue. «Sarà una pace fra le macerie, ma potrete contare su di noi e sull'Europa». L'ultimo saluto reciproco fra D'Alema e Rugova è stato in italiano: «Grazie e arrivederci». [m.mo.1 A destra il leader kosovaro Ibrahim Rugova passeggia a Roma con il premier Massimo D'Alema. Qui sotto, l'Ingrandimento della scarpetta di seta che Rugova tiene perennemente al collo, inverno ed estate. Un vezzo da intellettuali preso a Parigi dove ha studiato per un dottorato di filosofìa