La svolta del Gran Serbo
La svolta del Gran Serbo La svolta del Gran Serbo Milosevic: sì a una missione, anche armata reportage Giovanni Cerniti Inviato a BELGRADO Il primo segnale arriva a mezzogiorno. Milosevic ha appena incontrato il socialista Karolos Papulias, già ministro degli Esteri greco, e l'agenzia di stampa Tanjug riporta la sua frase: «Una soluzione politica ora e possibile». Il secondo alle cinque del pomeriggio, dal telegiornale di Studio B: sulle immagini di un'intervista registrata il 30 aprile, inedite per i serbi, lo speaker legge le sei condizioni di Milosevic «per ristabilire la pace». Il terso, a sera, è un'anticipazione del settimanale Nedeljni Telegrafi attribuita ad «un'alta fonte diplomatica» è riportata una previsione secca: «La pace entro il 16 maggio, le posizioni ancora diverse si stanno riawicinando». Segnali positivi. Predrag Sinic, direttore dell'Istituto Studi Internazionali, li legge così : «Stiamo tornando al Tribunale della legalità intemazionale». All'Onu. «Daremo il benvenuto ad una missione dell'Orni», dice Milosevic. Le sue condizioni sono sei. 1) Cessate il fuoco immediato 2) Entro sette giorni ritiro dei 100 mila uomini dell'Armata serba dal Kosovo 3) SI alla missione Onu 4) Per il futuro del Kosovo trattative con Rugova alia presenza di osservatori internazionali 5) Sì all'intervento umanitario della Croce Rossa 6) Piano di aiuti per la ricostruzione della Serbia dopo i bombardamenti. Sul punto 3 Milosevic si dilunga: «Accettiamo una forza di pace, anche se questa parola forza" non mi piace. Chiamiamola missione. A noi basta che non sia una fona di occupazione». La missione Onu, concede Milosevic, potrà essere armata. Fino a mercoledì i portavoce di Belgrado smentivano. «Ma avere armi per autodifese - dice Milosevic - à una cosa normale. L'importante ò che non si tratti di armi di offesa». La Tv di Stato sfuma su queste novità. Un lungo servizio sull'incontro tra Milosevic e il socialista Papuias. Notizie sui bombardamenti del pomeriggio alla periferia di Novi Sad. Al tg delle 19,30 per la prima volta un servizio su Rugova arrivato a Roma. Belgrado si sta ancora riprendendo dal black out, ma le novità cominciano a circolare. L'intervista di Milosevic all'agenzia di stampa americana Upi fino a ieri mattina veniva negata, corretta, interpretata. «Hanno messo assieme frasi attribuite al Presidente», era la tesi di Nebojsa Vujovic, il portavoce del ministero degli Esteri. E invece nel pomeriggio, quando viene rilanciata da Studio B, televisione privata controllata dai militari, si capisce che l'intervista diventa il manifesto ufficiale del nuovo Milosevic pronto a trattare. Alla Nato non si arrenderà mai, l'obiettivo resta un incontro con Kofi Annan. «Sono state gettate le basi per trovare una soluzione politica annuncia la tv serba -. E' importante che il mondo abbia rilanciato il ruolo delle Nazioni Unite». Milosevic, secondo indiscrezioni raccolte da giornalisti serbi e confermate dai pochi diplomatici presenti a Belgrado, avrebbe già avviato contatti con l'Onu. Nella «missione in Kosovo» vuole la presenza di Russia e Ucraina. Non vorrebbe la presenza di Paesi coinvolti direttamente nella guerra, ma l'Italia sarebbe l'unica eccezione. Nelle preferenze europee di Milosevic, nell'ordine, ci sarebbero, Grecia, Portogallo e Svezia. Con l'Onu intende trattare un piano di ricostruzione del Kosovo e della Serbia. Il portavoce Vujovic questa volta non smentisce né corregge: «La "missione" dovrà essere discussa dal segretario generale deil'Onu e dai rappresentanti della Repubblica Federale di Jugoslavia». Segnali. Milosevic sa che i tempi non saranno brevi, aspetta il ritorno dell'inviato russo Cernomyrdin e muove le sue pedine. Voijslav Seselj, radicale, ultranazionalista vicepremier, ha il compito di non mostrare cedimenti: «Il nostro Parlamento - dichiara - può accettare osservatori deil'Onu a patto che non siano dei Paesi aggressori; Quelli non li vogliamo. La Nato ò formata da fedeli sostenitori di Hitler. Se Clinton pensa che Milosevic ceda alla Nato si sbaglia, la Nato non la voghamo e ì prigionieri di guerra dovrebbero essere trattati come terroristi». Seselj non dimentica Rugova e sfrutta la sua partenza per Roma: «E' sempre stato un uomo libero, può tornare quando vuole e apprezziamo i suoi sforzi per trovare soluzioni. Finirà che gli albanesi si accorgeranno di essere stati trattati come burattini mossi dai fili della Nato». Quarantatre giorni di bombe e dal tg serbo spariscono le immagini dei militari che sfilano e di Milosevic che li premia: in studio due annunciatori leggono le notizie dal vertice di Bonn, nessun commento. Ma da Belgrado sparisce Zoran Djindjic, il segretario del partito democratico. «Qui fino a quando c'ò Milosevic siamo tutti in pericolo», aveva dichiarato mercoledì. Poi si è rifugiato in Montenegro: per gli oppositori l'aria che tira a Belgrado non è consigliabile. «Vi ricordo che siamo un Paese in guerra», dice il portavoce Vujovic, e anche ieri su Belgrado e la Serbia tre allarmi aerei, l'ultimo alle 21,05. Un Paese in guerra, ma al limite della resistenza, provato dalle bombe, dal black out, dell'incubo delle sirene, le notti nei rifugi, la depressione. A sera Studio B ritrasmette le immagini di Milosevic intervistato dalla Upi: «Una soluzione politica ora e possibile». Con l'Onu.
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