E Bobbio disse: al Colle mai di Alberto Papuzzi

E Bobbio disse: al Colle mai LA SCELTA DEL PRESIDENTE NEI GIORNI DELL'EMERGENZA DI TANGENTOPOLI Migone rivela i retroscena dell'elezione nel '92 la storia Alberto Papuzzi IL giorno che il professor Norberto Bobbio rifiutò la candidatura a Presidente della Repubblica era una bella domenica di maggio, anno 1992, circa due mesi dopo l'arresto di Mario Chiesa e l'inizio di «Mani pulite». Una decina di giorni prima della data fissata per le votazioni, durante una riunione della direzione "del partito, dedicata a tutt'altri argomenti, l'americanista torinese Gian Giacomo Migone,' neo senatore del Pds, viene convocato in un anonimo ufficio al quinto piano delle Botteghe Oscure, attiguo alla sala dove si svolgevano i lavori della direzione. Massimo D'Alema e Stefano Rodotà, incaricati dal segretario Achille Occhetto di istruire la pratica per scegliere il candidato, vogliono sapere da Migone quante possibilità ci sono che Bobbio accetti la candidatura del Pds. «Poche - risponde Migone -, ma un tentativo va fatto, vista l'importanza della posta in gioco». Questa è la storia, del tutto inedita, di quel tentativo, come ce l'ha raccontata uno dei due protagonisti, oggi presidente della Commissione esteri del Senato. «Una volta convenuto che bisognava tentare, la domanda successiva di D'Alema e Rodotà era inevitabile: "Chi e la persona più adatta a fargli la proposta in modo esplicito ma discreto?". Ci pensai qualche secondo: "Francamente sono io". Non essendo identificato con il vertice del partito, l'incontro poteva essere il mono ufficiale possibile. Un mio sondaggio sulla disponibilità del filosofo aveva il vantaggio di non dare nell'occhio per la frequenza dei nostri rapporti, sia di amicizia sia accademici - insegnavo da sempre nella facoltà di Scienze politiche dove Bobbio era stato preside. Mi dissero. "Fallo il più presto che puoi". Gli chiesi se avessero un candidato di riserva nel caso Bobbio avesse rifiutato. E' Spadolini, mi rispose D'Alema. Gli dissi, allora, che avevo due buone ragioni per mettercela tutta: la Enma è che consideravo Bobio in assoluto il miglior presidente che potevamo avere; la seconda che ero contrario alla candidatura di Spadolini, troppo debole nei confronti del sistema dei partiti: "Ha fatto della debolezza la propria forza"». Questo è l'antefatto. Questo fu il primo incarico del senatore Migone, eletto in Parlamento nello stesso 1992. In mezzo c'e¬ rano i problemi di uno snodo storico della vita politica italiana : la fine del comunismo, l'inizio di Tangentopoli, la tormentata conclusione della presidenza Cossiga. In quei frangenti, la scelta del Presidente diventava un appuntamento decisivo per l'ambiguità istituzionale della carica: «Questa ambiguità spiega Migone , - è confermata nella prassi dalla varietà di interpretazioni offerte dai presidenti ai loro poteri. Basta confrontare il settennato di Einaudi con ?[nello di Scalalo, o i primi cinque anni della presidenza di Cossiga con il periodo che la concluse, né possono essere relegate nel dimenticatoio le iniziative di Gronchi che diedero vita al breve ma politicamente incandescente governo Tambroni, per non parlare del ruolo mai chiarito di Antonio Segni nello scandalo Sifar. Oppure pensiamo, al contrario, alla capacità di Pertini di consolidare il rapporto fra Cl istituzioni e cittadini». Migone tornò a Torino per il weekend e chiese ad Annina, la moglie psicoanalista, di prendere accordi con la signora Valeria, moglie di Bobbio. Venne deciso un picnic domenicale sulla collina torinese, come in tante altre occasioni. Ma questa volta era chiaro a tutti che la passeggiata sarebbe stata diversa. Era una bellissima giornata di primavera. A 83 anni Bobbio era ancora un buon camminatore, allenato da decenni di passeggiate estive nella conca del Breuil sotto il Cervino. Sulla salita lungo i sentierini del Parco della Rimembranza, era Migone il più affan¬ nato, anche per la tensione. Per di più Bobbio era di umore pessimo, innervosito per le indiscrezioni pubblicate dai giornali. Avvertiva una pressione esercitata su di lui, soprattutto per un editoriale di Scalfari sulla Repubblica, che lo presentava come il Presidente degli italiani. Era anche stato ferito da una secca dichiarazione di Giuliano Amato, secondo il quale «Bobbio si faceva strumentalizzare dal Pds». Così Migone dovette ricorrere a tutta la sua sapienza diplomatica. «Ma Bobbio non si lasciava convincere - racconta Migone -. Anzi, mi rimproverava: "Mi meraviglio che tu non ti renda conto che so- i„i,i„ .i Mi,, no la persona meno adatta a ricoprire la carica. Mi conosci: sono uno studioso. Come puoi immaginarmi con quei volponi che hanno gestito la politica italiana per cinquant'anni?". Aggiungeva di essere una persona ansiosa e molto autocritica, mentre in quel posto ci voleva un abile dilomatico, capace di manovre tattiche. A un certo punto si fermò e mi disse: "Mi ci vedi a discutere con Craxi o con Andre otti?". Replicavo che il Pds lo voleva candidare proprio perché rappresentava una svolta. Cercavo di rovesciare in virtù quelli che presentava come difetti: era la sua estraneità agli ambienti politici a farne il candidato ideale per il Pds. "Lo stesso fatto che tu sia riluttante, gli dissi, è per me una ragione in più per insistere". Per quanto fosse evidente che candidature esterne al pentapartito, o addirittura alla politica, non avrebbero potuto fare molta strada con il solo apppoggio delle sinistre; c'era tuttavia la speranza che potesse prevalere una spilla proveniente dall'opinione pubblica». «Facemmo una pausa per consumare il picnic. Ricordo che loro erano molto più attrezzati, il che mi fece venire in mente la famosa pagina di Natalia Ginzburg, in Lessico familiare, su chi è adatto ad andare in montagna e chi no. Ridiscen dendo verso le macchine, io giocai l'ultima carta, quella che non avrei dovuto usare: il ri chiamo della patria, il senso del dovere. Questo lo mandò su tutte le furie: arrivati alla strada, picchiava col bastone con tro 1 asfalto e mi ripeteva: "Ma, insomma, la verità è che siete nei guai e mi mettete in mezzo!". Gli dissi che aveva ragione su tutte due le cose. Gli spiegai che avevamo pensato a lui perché Occhetto voleva un uomo che rappresentasse un ponte con la società civile, in un momento di scollamento col mondo politico. Capii però che non ci stava. Ero anche preoccupato, perché eravamo in mezzo alla strada e temevo l'arrivo d'una macchina. Ci lasciammo dandoci appuntamento per le elezioni. Prima di separarci mi disse: "E poi io ho già un mio candidato, che è Spadolini". Ci mettemmo a ridere perché sapevamo tutti e due che questo era un argomento su cui non saremmo mai stati d'accordo». Cominciate le votazioni, Bobbio telefonò a Migone per avvertirlo che era costretto a rientrare a Torino a causa di un piccolo incidente fisico, e per pregarlo di rassicurare gli amici che non si trattava di nulla di grave. Al terzo scrutinio, il 14 maggio, ebbe 25 voti, più o meno altrettanti in vari scrutimi successivi. I pidiessini divisi fra Spadolini e Conso trovarono poi l'accordo su Scalfaro. Il quale, dice Migone, avrebbe trovato lui «il modo di costruire un ponte ideale fra cittadini e istituzioni». etto era ato ideale momenti ezza nibilità hiesta un picnic sofo ono solo ioso o adatto Per Occhetto era il candidato ideale in quei momenti di incertezza La disponibilità venne richiesta durante un picnic in collina Ma il filosofo rifiutò: sono solo uno studioso Non sono adatto L'attuale presidente della commissione Esteri del Senato Gian Giacomo Migone nel "92 neo senatore del Pds E Bobbio disse: al Colle mai 1

Luoghi citati: Annina, Breuil, Torino