«La preghiera arriva prima del braccio»

«La preghiera arriva prima del braccio» «La preghiera arriva prima del braccio» «Anche dalla clausura si possono aiutare le vittime» intervista Inviato a ORTA^ Madre, che sentite, che sapete della guerra voi distaccate dal mondo nelle celle e nei chiostri dei conventi di clausura? «Sentiamo, sappiamo», sussurra Anna Maria Canopi, fondatrice e abbadessa del monastero benedettino «Mater Ecclesiae» sull'Isola di San Giulio. Ha scritto molti libri di spiritualità liturgica e monastica, ha collaborato alla Bibbia della Cei, ai nuovi Messali e Legionari. Piemme le ripubblica adesso Ecco tua madre. Maria nella Scrittura e nella vita della Chiesa e Patì per noi, con il testo che Giovanni Paolo II le chiese nel '93 per la Via Crucis. Il temporale che si allontana ha fatto più bello il Lago d'Orta, più verdi i colli che lo circondano, più nette le cime innevate delle montagne sullo sfondo. E' appena terminata la preghiera dell'ora nona, alla quale l'ospite era ammesso dietro una grata. Tuoni remoti si confondevano con il canto delle religiose e con il salterio che l'accompagnava. Veli neri delle monache, veli bianchi delle novizie, a capo scoperto tre giovani postulanti: una bionda, due brune. Dopo l'orazione, tutte cinquantasette - tra le quali ci sono architene, musiciste, traduttrici - sono scomparse verso i laboratori: restauro di tessuti antichi, confezione di ostie e paramenti sacri, pittura di icone, sartoria, stamperia, falegnameria. Soltanto l'abbades8a - da quarant'anni in monastero, da ventisei in quest'isola - riappare nel luogo convenuto, dove può rimanere il visitatore senza violare la sacra clausura. Volto affilato nel soggolo candido, chiari occhi espressivi, un soffio di voce, ma ferma. Siete informate di quello che accade in Serbia, nel Kosovo, in Albania? «Sappiamo. Non abbiamo né radio né televisione, non le abbiamo mai avute ed è bene per noi non averle. Ma sappiamo. Ogni fionio arrivano ì quotidiani: Avvenire e l'Osservatore romano, le riviste cattoliche di infor¬ mazione. Io dò uno sguardo, poi li passo alla bibliotecaria che riassume le notizie essenziali. Durante la giornata alterniamo preghiera e lavoro cercando di mantenere il silenzio. La sera, dopo cena, ci troviamo insieme per quaranta minuti comunicando tra noi. Allora vengono date le notizie: talvolta si legge direttamente dal giornale, per un'informazione più dettagliata. Prendiamo così coscienza della situazione del mondo. E ne facciamo oggetto della nostra preghiera». Voi che cosa fate, che cosa vorreste fare? Basta pregare di fronte alle atrocità? «Crediamo che la preghiera sia l'intervento più efficace perché chiede aiuto a Dio, Colui che tutto può. La preghiera però è efficace se accompagnata dall'offerta della vita, com'è nel nostro caso. Quanto più siamo consapevoli del bisogno di salvezza e di pace che c'è nel mondo, tanto più sentiamo che la nostra vocazione deve avere questo carattere sacrificale». Come non provare risenti¬ mento per gli aguzzini? «Non possiamo avere sentimenti ostili verso nessuno, né giudicare alcuno. La guerra è sempre una realtà cristianamente inaccettabile, perciò desideriamo la pace e il bene per i tutti i contendenti». Non invidiate coloro che cercano di far qualcosa di concreto, che vanno nel Kosovo, che si apprestano a ospitare disperati e orfani, magari a adottarli? «E' concreto anche quello che facciamo secondo la nostra vo¬ cazione. Gli orfani, quelli del Terzo Mondo, li adottiamo anche noi, aiutandoli spiritualmente e, secondo le nostre possibilità, anche materialmente. Mediante la preghiera andiamo anche noi ovunque, anzi arriviamo prima di quelli che vanno fisicamente nel Kosovo. Il nostro pronto soccorso può arrivare più velocemente. Con la preghiera sosteniamo anche quelli che intervengono direttamente». Perché, madre, ancora tanta guerra? Perché Dio guarda da un'altra parte? «Quello che avviene clamorosamente tra i popoli, in fondo, è provocato da ciò che si annida nel cuore di ogni persona. In certo modo tutte le guerre sono preparate da noi tutti, perché non abbiamo umiltà, pazienza, amore, capacità di perdonare e di accogliere». Che cosa significa per voi essere monaci tra due millenni? Sentite questa fine di secolo? «La sentiamo in un aspetto apocalittico. La liturgia di queste settimane ci fa ascoltare l'Apocalisse: ci sembra di vedere descritti in essa gli ordigni di guerra e le drammatiche situazioni che sono in atto nella nostra epoca. Avvertiamo che in questo momento le forze del male sono una realtà molto concreta. Si scatenano con un accanimento maggiore per neutralizzare o diminuire o comunque ostacolare il bene che può derivare dalla celebrazione del Giubileo. Dopo duemila anni di cristianesimo, il nemico di Dio e dell'uomo vorrebbe ancora prevalere». E il male prevale? «Questa fine di secolo e di millennio vede il mondo come in un'esplosione di violenza, di inquietudine; vede movimenti di popoli sradicati come se non trovassero più posto sulla Terra. Il male sembra davvero prevalere e semina angoscia. Ma in tutto questo si verificano eroismi di bontà. Il male fa molto chiasso, silenziosa e profonda è invece la crescita del bene». Vedete più turbamento, più paura. C'è più gente che si rivolgo a voi? «Sì, c'è più gente che riflette, che scopre di aver bisogno di Dio e cerca i luoghi di preghiera. Oggi nulla è più urgente della preghiera. Si appella a Dio e dà la forza di soffrire senza disperarsi. Da noi vengono persone di ogni età e categoria; da vicino e da lontano. Vengono anche sempre più spesso professionisti, che mentre in passato si sentivano sicuri, ora toccano con mano il Umite delle loro possibilità, si interrogano con una certa inquietudine e cercano di conoscere le vie dello Spirito per trovare, per sé e per le molte persone cadute nella morsa della depressione e dell'angoscia, una terapia veramente efficace», Qui dentro esiste il riso, il pianto? «Sì, come dovunque. Non perdiamo la nostra personalità, la nostra spontaneità. Rimaniamo persone sensibili e, anche se sostenute dalla grazia del Signore, abbiamo le nostre debolezze. I dolori li sentiamo come tutti gli altri, quindi anche il pianto è normale. Così pure conosciamo la gioia, il sorriso, i momenti di festa, con sana allegrezza, mai smodata, ma autentica e profonda». Che rapporto ha, madre Canopi, con la cultura, con la filosofia, con il pensiero laico? «Seguiamo attraverso libri e riviste cattoliche il pensiero filosofico dell'uomo contemporaneo. Inoltre, essendo aggregati al monastero una sessantina di oblati, anche attraverso di loro possiamo avere una panoramica della cultura del nostro tempo nel suo rapporto con la fede cristiana. Leggiamo insieme libri e recensioni di libri particolarmente importanti a questo riguardo, ma la nostra vera cultura è il Vangelo, che ci dà una visione soprannaturale del mondo e dell'uomo, facendoci incontrare Cristo, sempre presente nella storia come unico Salvatore. Uniti a Lui noi desideriamo camminare con l'uomo di oggi e di ogni tempo sulle vie dello Spirito». Profughi kosovari passano il contine con la Macedonia a Bisce deve li aspettano I primi soccorsi internazionali

Persone citate: Anna Maria, Giovanni Paolo Ii, Mater

Luoghi citati: Albania, Bisce, Kosovo, Macedonia, Serbia