Una coppia anti-crisi

Una coppia anti-crisi DA CONFESSORE A INVIATO DEL PRESIDENTE Una coppia anti-crisi // legame di ferro tra il reverendo e Bill personaggio La foto è impagabile: il reverendo Jesse Jackson assorto in preghiera mentre tiene la mano di Slobodan Milosevic nel palazzo presidenziale a Belgrado. Ma ancora più impagabile è stata la sua giustificazione, data poco dopo in diretta alla Cnn: «Io prego assieme a tutti i peccatori», ha detto sornione, facendo tornare inevitabilmente alla mente la scenetta di qualche mese fa, in piena bufera Le whisky, quando pregava alla Casa Bianca tenendo per mano Clinton. Bill e Jesse, Jesse e Bill. La guerra del Kosovo ripropone in versione inedita la vecchia storia di questa strana coppia, due politici che si dicono amici e poi se ne fanno di tutti i colori, come i protagonisti di una sit-com. Da confessore a postino del Pre¬ sidente: il reverendo torna a Washington con una missiva di Slobodan Milosevic nella quale il leader jugoslavo chiede un incontro con Clinton. Insomma, uno scherzacelo di Jackson, che ha spinto la Casa Bianca sulla difensiva e costretto gli uomini del Presidente a chiamare i giornali per dire che non se parla neanche. Al tempo stesso il reverendo, nel riportare i tre americani a casa, ha risolto un problema non da poco al Presidente, che gli ha espresso per telefono la sua gratitudine. Veterano delle battaglie per i diritti civili degli Anni Sessanta ed erede auto-designato di Martin Luther King (era vicino al leader quando venne assassinato nel 1968), Jackson ha un'enorme influenza sul voto afro-americano. Il suo sostegno a Clinton nel 1992 secondo alcuni fu decisivo per la vittoria su George Bush. E alla Casa Bianca il Presidente ha continuato a coltivare il suo rapporto con Ja¬ ckson. Due anni fa, prima di lanciare un ambizioso programma per la rinascita del continente africano, Clinton nominò Jackson suo ambasciatore personale in Africa, una posizione che il reverendo sfrutto per avanzare la sua agenda politica (tra l'altro non si è ancora tirato fuori dalle presidenziali del Duemila). Ma fu soprattutto dopo la Grande confessione di Bill Clinton del 17 agosto scorso, quando il Presidente ammise di aver avuto una relazione «impropria» con Monica Levvinsky, che il legame con Jackson divenne più intimo ed intenso, senza mai perdere quella sua venatura utilitaristica. Clinton aveva bisogno di una «guida spirituale» per convincere gli americani del suo genuino pentimento. In termini grettamente politici, Clinton non poteva scegliersi una «guida spirituale» migliore di Jackson. Nel periodo più buio dello scandalo, quando la famiglia Clinton sembrò davvero andare a pezzi, Jackson era di casa alla Casa Bianca. Pregavano insieme, cenavano insieme, guardavano la televisione, cercavano di rimettere insieme i cocci con l'aiuto del reverendo. Nelle elezioni congressuali dello scorso novembre Jackson mobilitò il voto afro-americano e regalò a Clinton un insperato successo elettorale che cambiò la dinamica dell'affaire Le whisky e dell'impeachment. Jackson è sempre a caccia di occasioni per trasformarsi nell'Uomo del momento. E la cattura dei tre americani sembrava fatta apposta per dar vita ad una nuova missione del reverendo (secondo buone fonti era dal 24 marzo scorso che brigava per andare a Belgrado). E così è cominciata la consueta commedia delle parti. Jackson ha detto a Clinton che voleva andare. La Casa Bianca ha risposto che la Nato non poteva garantire la sua incolumità e l'entourage del Presidente faceva sapere di essere contrario. Ma Jackson è partito Io stesso. Clinton, del resto, non gli aveva mai chiesto esplicitamente di non andare. E adesso sono tutti e due seddifatti: Jackson ha la ribalta, Clinton si è sbarazzato di un problema spinoso senza dare nulla in cambio, la. d. r.l

Luoghi citati: Africa, Belgrado, Jackson, Kosovo, Washington