Belgrado libera i tre marines di Giovanni Cerruti

Belgrado libera i tre marines Belgrado libera i tre marines II «dono» del presidente a JesseJackson Giovanni Cerruti inviato a BELGRADO «Visto che ce l'ho fatta?». Sabato sera all'Hyatt hotel, il Reverendo Jesse Jackson regala pacche e strette di mano a chi s'avvicina. Aveva pregato tanto, dice. Ma che il terribile Slobo, nel pomeriggio, dopo mezz'ora di passeggiata nei giardini del Castello Bianco, se ne uscisse con quella frase proprio non se l'aspettava. «Reverendo, con un gesto di buona volontà e di pace lei potrà lasciare il Paese con i tre soldati americani nostri prigionieri», annuncia Milosevic. E ancora, come informeranno i portavoce: «Noi non li consideriamo come nemici, ma come vittime della guerra e del militarismo. Come avrà notato, Reverendo, le stiamo dkuostrando che la Serbia non è un paese vendicativo». Sergente Ramirez, Sergente Stone, Caporale Gonzalez: liberi. Domenica mattina. Il Reverendo ha consigliato la sveglia all'alba, appuntamento alle sei davanti all'Hyatt. Due pullman per il gran circo dei media americani, fuoristrada blindato per Jackson, scorte dell'Armata. Il reverendo sparisce con i militari. Ore 7,30 nel salone del Presse Center: ecco Ramirez, Stone e Gonzalez Uberi. Erano stati catturati alla frontiera con la Macedonia il 31 marzo. Stanno bene, pare. La divisa è in ordine e ben stirata, gli scarponi lucidi, senza lacci. Stone e Gonzalez piangono, Ramirez no. Tira un'aria da «Soldato Ryan». Manca solo la colonna sonora, ma ci penserà più tardi la «Cnn». Il Reverendo alza indice e medio, vittoria. Nel suo bunker di Belgrado anche Milosevic potrebbe festeggiare. Ma non era un mostro? «Preghiamo», invita Jackson. «Andiamo», dice l'ufficiale serbo. Vince il Reverendo con tanto di sermone: «E' megbo parlare, parlare e ancora parlare piuttosto che combattere». Si concede, a poche ore dall'ennesimo «Danno Collaterale» sul ponte di Luzane, un'allusione finale che non sfugge a nessuno: «Bisogna passare dalla demonizzazione al negoziato perchè la violenza non porta alla pace. Va affermata la volontà diplomatica, non permettiamo che sfugga. Dopo la liberazione senza condizione dei tre prigionieri a questa iniziativa diplomatica bisogna dare una risposta diplomatica. Questo gesto aiuta a costruire ponti...». Clinton, conclude, «ha espresso gratitudine». Ma non dice a chi: al reverendo Jackson, ai tre soldati oppure al nemico Milosevic? Un pullman bianco sporco li aspetta, destinazione la frontiera con la Croazia. «Ragazzi, prendete il mio telefonino e chiamate le vostre famiglie». Stone e Gonzalez si sono ripresi, la notte per l'eccitazione non hanno dormito. «Siamo stati trattati bene, con noi sono stati molto gentili e anche il cibo non era poi male», dice Ramirez. Alle 8,20 lasciano Belgrado e la guerra. Jackson parte con una lettera di Milosevic che vuole incontrare Clinton. «L'ho chiesta io per rompere il ciclo della "noncomunicazione" - aveva spiegato sabato sera -. Lunedì la consegnerò a Clinton». Quattro punti che sono poi i soliti: fine della guerra e dei bombardamenti, rientro dei profughi, sì a una forza intemazionale di pace, definizione istituzionale del futuro del Kosovo. Jackson non s'aspettava tanto, ma Milosevic non poteva perdere un'occasione cosi. Arriva d Reverendo e Mislosevic ne approfitta per presentrarsi come il tenero Slobo che manda a casa tre bravi figUob, pure loro «vittime del militarismo». Una mossa preceduta, sabato, da interviste alla stampa americana. Le violenze in Kosovo? «Non siamo angeli, ma non siamo neanche i diavoli che ci avete dipinto. Cose brutte possono accadere, lo avete visto anche voi nel Vietnam. Può essere che siano state bruciate case isolate, ma non certo intere cittadine come avete fatto voi in Vietnam. Siamo stufi di essere bombardati, ma non abbiamo alcuna alternativa finché la Nato cercherà di occupare la nostra terra. Non possiamo accettare forze di occupazione della Nato o de 11'Onu». La libertà per i tre soldati, più che alle preghiere del Reverendo resterà un abile mossa di Milosevic. In versione tenero Slobo gioca ima carta, un'apertura e l'obiettivo finale resto l'intervento dell'Onu in Kosovo: ma una presenza armata oppure «solo di civili», come dicevano fino a ve¬ nerdì? Da ieri il portavoce del ministero degli esteri Nebojsa Vuojvic fa capire che una «presenza di polizia» potrebbe andar bene. Poi corregge, sfuma, nega, riconferma e conclude con un «vado a controllare». Che la diplomazia faccia il suo corso: Milosevic se deve cedere si arrenderà all'Onu, alla Nato e alle bombe mai. E il portavoce Vujovic tenta di convincere i giomahsti americani. «Ma voi vi siete proprio dimenticati di Joan Baez, Bob Dylan e John Lennon?». Al pastore americano affidata una lettera del leader serbo che vuole incontrare Clinton Il reverendo Jackson con i tre marine durante la conferenza stampa