LA VERGOGNA CONTRO I SERBI di Barbara Spinelli

LA VERGOGNA CONTRO I SERBI PRIMA PAGINA LA VERGOGNA CONTRO I SERBI Barbara Spinelli ciale modo di condurre le guerre razziali, e non dalle operazioni computerizzate, senza morti, che l'Occidente compie in risposta allu sfida di Belgrado. E' a queste nuove guerre che l'Occidente democratico è impreparato, e non solo tecnicamente o militarmente ma culturalmente. Sono nuove guerre studiate da alcuni analisti - il filosofo francese Glucksmann le chiama postmoderne, la studiosa Mary Kaldor parla di tecniche belliche che evitano il campo di battaglia, e che hanno come obiettivo centrale quello di «instillare paura, panico, odio» nelle popolazioni civili - ma raramente sono incorporate nei calcoli strategici o politici. Eppure le cifre sono significative. Nulla prima parto del secolo il rapporto fra morti militari e civili era di 8 a 1. Nello guerre balcaniche dogli ultimi anni il rapporto è di 1 u 8. Non sono più guerre tradizionali, tra soldati. Non sono neppure conflitti civili fra soldatesche che occupano lo stesso territorio statale, come si tende spesso a definirlo e come Milosevic vorrebbe far credere, quando dice di voler recuperare - sull'insieme della Jugoslavia - il perduto monopolio della violenza legala. Sono guerre condotte deliberatamente, sistematicamente - sulla base di precisi piani di intimidazioni, stupri, infanticidi - contro le popolazioni civili. Sono condotte da truppe regolari o paramilitari, e hanno alle spalle Stati in via di disgregazione. Si recluta indiscriminatamente nel mondo bellico e in Sello del crimine, delle mafie. Le nose soldatesche del serbo Ariani - le «Tigri» che hanno massacrato 24.000 uomini in Croazia e Bosnia e che sono ora integrate nell'esercito jugoslavo a Pristina - furono arruolate tra ladri e mafiosi jugoslavi che operavano negli Anni 80 in Europa. Arkan si chiamava Zeljko Raznatovic, ed era colpevole di furti a mano armata a Francoforte. Inizialmente Arkan e Seselj - oggi vice primo ministro, autore di un piano genocidario per il Kosovo - erano guardati con diffidenza dalle truppe regolari, che mettevano in guardia contro la loro «criminosità» e contro il pericolo che essi potevano rappresentare per il «morale delle truppe». (Mary Kaldor, Nuove e vecchie guerre, Cambridge '99). Il confine fra guerra e crimine si assottiglia nelle neo-guerre, sino a scomparire. Chi accumula più morti civili è vincente, in patria come nei negoziati, e non è vero che tutti indiscriminatamente perdono, non appena seminano morte. La straordinaria carriera di Milosevic come interlocutore dell'Occidente lo conferma, e solo dopo 10 anni di cecità quest'ultimo si è svegliato, almeno per il momento. Il potere mortifero avvantaggia il dittatore - come si vede dopo la visita di Jesse Jackson e i morti civili causati inavvertitamente dalla Nato - perché le due culture di guerra sono difficilmente compatibili, e difficilmente si incrociano. In questo conflitto del Kosovo,la macchina sterminatrice di civili è più che mai centrale, decisiva . Le popolazioni inermi sono autentici materiali bellici, manipolati da Milosevic. O diventano bombe umane gettate nei Paesi limitrofi, sotto forma di centinaia di migliaia di deportati albanesi kosovari, o sono usate come scudi umani in caso di attacchi terrestri della Nuto. Fra 700 e 800.000 profughi vagano senza tetto nelle strade innevate del Kosovo, spinti a nutrirai di cani e gatti, per essere usati come baluardi di interposizione fra i soldati serbi e le eventuali truppe occidentali. Questo è il motivo per cui la Nato si rifugia per ora nei cieli, e paventa carneficine in caso di intervento di terra. Non si rischia solo la morte dei nostri soldati. Si rischia di uccidere - a centinaia vecchi donne e bambini che i serbi manderanno davanti a sé. Gli Occidentali, per cultura di guerra e formazione politica, faticano a sparare nel mucchio, su civili trasformati in scudi. E' accaduto alla fine della guerra in Vietnam, e l'America ancora ne patisce. Milosevic non fatica affatto, perché proprio questo sparare nel mucchio (su città, su uomini-ostaggio) costituisce il fulcro criminogeno e la ragion d'essere della sua dottrina bollica. L'errore dell'Occidente non è dunque tecnico, né psicologico. E' essenzialmente polìtico. E' un peccato di omissione, di trascuratezza concettuale, Per dieci anni non ha guardato in faccia il fenomeno del postcomunismo illiberale, quale si è sviluppato nei Balcani o in ex Urss . Per dieci anni gli europei occidentali hanno trascurato la caduta del muro di Beri ino, e solo oggi si trovano obbligati, come dice Dahrendorf, a chiedersi non solo metafisicamente dove cominci e dove finisca la civiltà d'Europa. Secondo Mary Kaldor, sono queste nuove forme di nazionalismo rosso che l'Occidente ha mancato di esplorare, di fronteggiare: le guerre contro i civili e le epurazioni etniche sono state e sono un metodo per «restaurare il medesimo tipo di controllo politico del territorio esercitato a suo tempo dai partiti comunisti, solo che il metodo è applicato ormai sulla base delle comunità etniche». E' contro simili ibridi postcomunisti che l'Alleanza si sente spaesata, tentata in permanenza dall'appeasement. In queste stesse óre, parte degli Occidentali può esser tentata dalla spartizione del Kosovo: spartizione che sancirebbe la vittoria di Milosevic, preluderebbe alla secessione della Repubblica serba di Bosnia, sfascerebbe ancor più le intese di Dayton. GU Occidentali hanno memoria del crollo dei nazifascismi in Italia, Germania, Giappone, e hanno pensato che la fine del comunismo sarebbe stata analoga. Ma non è così. E' più difficile uscire dal comunismo, specie quando non c'è stata una sconfitta bellica. E' piuttosto un'atmosfera weimariana che regna nei Paesi anti-liberali dell'Est e del Sud-Est: fatta di frustrazione, di umiliazione, di risentimento, di incapacità di darsi costituzioni statali democratiche. E' un clima che incita a fantasticare su guerre di rivincita fra nuovi poveri e ricchi del mondo, fra perdenti e vincitori della guerra fredda: un terreno ideale, per i neo-comunisti colorati di bruno come Milosevic. Per spiegare a Ettore l'abiezione di Paride, Elena elenca le due virtù che mancano allo sposo troiano che l'ha rapita a Menelao: «Vorrei almeno esser moglie di un uomo più forte, che capisse la Nemesi e la Vergogna di fronte agli uomini». Le forze militari della Nato sanno la Nemesi, il biasimo vendicatore che colpisce la dismisura dell'errore. Conoscono la Vergogna, quando colpiscono civili serbi. Milosevic non sa nulla di tutto questo. E' un ex burocrate comunista che oggi pensa solo al potere. Il giornalista Slavko Curuvija, ucciso giorni fa da suoi sicari, diceva che il leader serbo è guidato dalla moglie Mira Markovic, «che vive neu'incubo di perdere il potere: incubo di ieri, di oggi, di domani, senza rapporto alcuno con la realtà». Inaccessibile a Nemesi, impenetrabile da Vergogna, Milosevic spera che le virtù stesse dell'Occidente diventino debolezze. I totalitari hanno fatto metodicamente tale scommessa - non sempre perdente • e già questo rende le guerre non già sante o teologicamente giuste, ma necessarie e non superflue.