Diecimila disperati da Prizren in fiamme

Diecimila disperati da Prizren in fiamme Un rapporto dei «Medici senza frontiere» denuncia i crimini contro l'umanità compiuti in Kosovo Diecimila disperati da Prizren in fiamme Massacri e torture: i serbi sconfinano in Albania TIRANA Come tutti i giorni, ormai da tre settimane, i sèrbi hanno attaccato lungo la frontiera tormentata, su nel profondo Nord, e a Qafe Prush, più o meno 50 chilometri da Kukes. Mentre a Morini sono arrivati 10 mila profughi dalla città kosovara di Prizren, bruciata dai serbi. Erano le 2 di notte a Qafe Prush quando il posto di guardia finito sotto una specie di uragano di piombo e di fuoco è bruciato. E eternai Elezi, lo sfinito prefetto, dice che «la zona è davvero in pericolo». Certo, la reazione degli albanesi lascia il tèmpo che trova ed è un tempo pessimo. Così il prefetto osserva che al mattino tutto ciò che si poteva constatare era come quella «cosa gravissima sia il segno che i serbi intendono alzare il tòro, vogliono sconfinare. Certo, Kukes non è in pericolo ma i confini dell'Albania sì». Forse è un allarme eccessivo perché ormai i soldati della Nato sono finiti a ridosso della frontiera, ma certo la situazione è pesante perché, sembra, ogni qua! volta i serbi ripiegano, come han fatto pure domenica passata al termine di uno scontro pesante, alle spalle si lasciano labirinti di mine. E anche lo scorso mercoledì hanno bombardato ed ucciso un contadino, e il giorno dopo, presso Zogaj, sobborgo di Tropoje, sono passati al di qua della frontiera in forze, almeno 170, assicurano a casa, per seminare trappole esplosive. La polizia avrebbe reagito e gli intrusi anche se di malavoglia se ne sono andati. Se la situazione ai confini è critica, dall'altra parte c'è semplicemente l'inferno, asseriscono i «Medici Senza Frontiere», che hanno diffuso a Parigi un atto d'accusa di 30 pagine nel quale si paria, senza mezzi termini, di «crimini contro l'umanità». La deportazione, si legge, non è soltanto crudele, è feroce: chi rimane indietro, perché malato, paralizzato o vecchio, viene assassinato, sotto gli occhi degli altri esuli. «Militari, poliziotti o paramilitari inquadrano, lungo la strada, le colonne di persone che seguono un itinerario obbligato fino alla frontiera». Viaggi durati anche 23 giorni. Doppia la tecnica usata dai serbi: passano di porta in porta per avvertire che l'unica chance è arrivata, oppure, se dal villaggio arriva un rifiuto compat¬ to, bombardano, come hanno fatto a Pedaliate e Sani «La gente viene raggruppata, gli uomini separati dalle donne. Prendono denaro e documenti». Ma chi non ha soldi paga lo sgarbo con la vita. Una volte vuote, le case «sono date alle fiamme». Non è un lavoro sporco: è il più sporco dei lavori, sottolineano «Medici Senza Frontiere», fatto «secondo le testimonianze raccolte, da poliziotti e paramilitari mascherati, forse gli stessi vicini di casa serbi delle vittime kosovare, e per questo indossano una maschera, per non farsi riconoscere». Perché c'è chi giura di aver visto «il 27 marzo nella regione di Pec e Istok, nel villaggio di Vrela» pure i lanzichenecchi del «comandante Arkan». Se pure non si può prevedere quando tacerà il cannone, la diplomazia non rinuncia e George Robertson, ministro della Difesa britannico, ieri assicurava che «i bombardamenti potrebbero cessare subito, se Milosevic decidesse di fermare i massacri. Tocca a lui». Nell'attesa, il ministro è volato sulla portaerei tascabile «Invincible», al largo in Adriatico. Giornata di grandi manovre, per Tirana. Un elicottero della Armée de Terre ha scaricato nel centro di centrocampo dello stedio Qemal Stato, il primo ministro francese Lione! Jospin. Interrogato sulla dichiarazione parigina di 24 ore avanti che parlava di divisione del Kosovo, ha corretto: «Escludo un'ipotesi del genere, sono stato frainteso, hanno capito male. Per me fa testo Ramrxjuulet».

Persone citate: Elezi, George Robertson, Jospin, Kukes, Milosevic, Morini, Qemal, Sani

Luoghi citati: Albania, Kosovo, Parigi, Tirana