«Condannate all'ergastolo Andreotti» di Giovanni Bianconi

«Condannate all'ergastolo Andreotti» Carcere a vita anche per l'ex pm Vitalone, i boss Badalamenti e Calò e i due presunti killer «Condannate all'ergastolo Andreotti» Perugia, la richiesta dell'accusa per l'omicidio Pecorelli Giovanni Bianconi inviato a PERUGIA E' successo. Pochi minuti dopo le 18 di ieri, in un'aula di giustizia persa nella campagna umbra, è successo che due pubblici ministeri di provincia hanno fatto quello che nessuno, fino a pochi anni fa, avrebbe immaginato. «Vi chiediamo di dichiarare Giulio Andreotti colpevole del reato ascrittogli, e di condannarlo alla pena dell'ergastolo», dice con voce ferma il pm Sandro Cannevale, a conclusione di una requisitoria durata otto udienze e 40 ore. Carcere a vita, dunque, per l'uomo simbolo di cinquant'anni di potere democristiano, accusato di aver voluto un omicidio - quello del giornalista Mino Pecorelli, ucciso a Roma il 20 marzo 1979 - insieme all'ex-senatore de Claudio Vitalone, ai boss mafiosi Gaetano Badalamenti e Pippo Calò che l'avrebbero organizzato, e ai presunti killer Angelo La Barbera e Massimo Carminati. Per tutti l'accusa chiede l'ergastolo, il massimo della pena prevista dal codice penale per un delitto «feroce e freddamente premeditato, per il quale nessuna attenuante è concepibile, né per chi lo ha deliberato, né per chi lo ha organizzato, né per chi lo ha eseguito». E' successo alla vigilia dell'elezione di un presidente della Repubblica. E pensare che la volta scorsa Andreotti era uno dei candidati meglio piazzati per quella carica; oggi lo vogliono condannare al carcere a vita. Il pomeriggio del 23 maggio del '92 Andreotti era a colloquio nel suo studio con Claudio Martelli, per ottenere l'appoggio del Psi* nella corsa al Quirinale; una telefonata interruppe il dialogo, l'avviso della strage di Capaci. Il giudice Falcone era saltato in aria con cinquecento chili di tritolo che oggi, sette anni dopò, riecheggiano nell'aula della corte d'assise di Perugia come una delle chiavi di volta per chiedere la condanna di Andreotti. «Quando muore Giovanni Falcone - spiega il pm Cannevale - Tommaso Buscetta decide di parlare fino in fondo, anche dei rapporti tra mafia e politica. Non ha nulla da chiedere in cambio, lo fa soltanto perché sente che questo avrebbe voluto Giovanni Falcone». Buscetta si abbandonò, allora, ad una nuova cascata di dichiarazioni, compresa quella che diede inizio a questo processo: Tano Badalamenti mi disse che Pecorelli era stato ucciso da loro, su richiesta dei cugini Salvo, nell'interesse di Andreotti. «Quando Buscetta ha spiegato il perché dele sue nuove rivelazioni, avrete colto nelle sue parole un accento di inconfondibile sincerità - dice il pm ai giudici della corte -. Questo è un testimone vero, e dei migliori». Da quella frase di don Masino sono cominciati tre anni di indagini e tre di processo, culminali con le richieste di condanna. Perché al primo pentito di Cosa Nostra si sono aggiunti altri «collaboratori di giustizia» che hanno offerto ciascuno una tessera di mosaico, sempre coincidente con le altre, fino alla ricostruzione del quadro finale. L'altro mafioso Totò Cancemi, e poi i «bravi ragazzi» della banda della Magliana: Carnovale, Abbatino, Mancini e Moretti. «Nessuno dei collaboratori conosce tutta la storia - argonentano i pm -, non ce n'è uno che ha dettato il compito e gli altri che hanno copiato; non c'è nessun complotto ai danni degli imputati». Il movente dell'omicidio sta nei segreti custoditi da Pecorelli, «spregiudicato e scanzonato avventuriero della notizia», il quale «come ci dice ancora un Buscetta oggettivamente riscontrato oltre ogni ragionevole dubbio, era in possesso di notizie riguardanti l'affaire Moro; notizie inedite e pericolose per Giulio Andreotti». Nel 1978, nella prigione delle Br, Moro «aveva svelato ai suoi carcerieri gli ignobili retroscena dei vertici bancari», grazie ai quali Andreotti aveva dato una mano a Caltagirone nella vicenda Italcasse; in più, «Pecorelli conosceva già nel '77 i legami finanziari tra Andreotti e Nino Rovelli, legami cosi imbarazzanti da indurre Andreotti non solo a una rituale smentita, ma anche, più tardi, a tentativi di inquinamento probatorio». Il giornalista minacciava di pubblicare quelle notizie, e si arrivò alla «soluzione finale» decisa da Andreotti e dal suo braccio destro Claudio Vitalone. Secondo l'ac¬ cusa è stato lui, il magistrato eletto senatore subito dopo il delitto, a chiedere ai cugini mafiosi Nino e Ignazio Salvo di occuparsi di Pecorelli: «Ai Salvo bastava rappresentare il problema, e l'urgenza della sua soluzione». I cugini si rivolgono ai boss Bontate e Badalamenti, ma «al progetto doveva partecipare anche Pippo Calò, da tempo referente più importante degli affari romani di Cosa Nostra». Bontate spedisce a Roma La Barbera, «un ragazzo valido, che aveva già ucciso e che era già stato nella capitale»; Calò invece si rivolge al boss della Magliana Franco Giuseppucci (ucciso nell'80) che «cerca le armi e sceglie Massi- mo Carminati» per il ruolo di copertura sul luogo del delitto. E' così che muore Mino Pecorelli. E per i pm di Perugia non è credibile che il primo anello di questa lunga catena, cioè Andreotti, fosse solo un «inconsapevole beneficiario». Questa teoria, spiega l'altro pm Cardella, «inai si concilia con l'incontro avuto da Andreotti con Badalamenti», raccontato sempre da Buscetta. «Un omicidio non è un'azione umanitaria, e non si mette in atto se non si è sicuri che il beneficiario davvero lo voglia e se non si è certi di poter contare su ritorni positivi». Cardella si sofferma a lungo sulla mafiosità di Andreotti dibattuta al processo di Palermo, nel quale altri pm hanno chiesto 15 anni di carcere per il senatore a vita. Ritorna sui faccia a l'accia coi boss Bontate e Riina, ma soprattutto si sofferma sulle «assurde bu^ie» che Andreotti avrebbe pronunciato «in malafede» nel suo interrogatorio davanti ala corte: «Ha avuto l'improntitudine di negare di sapere che Caltagirone finanziava la sua corrente... Parla come se venisse da un altro pianeta, o come se voi giudici foste vissuti su un altro pianeta. Riflettete, giudici delia corte d'assise, sul fatto che l'imputato ha preferito mentire piuttosto che chiarire pure i più piccoli episodi. Anche mi frammento di verità, per Giulio Andreotti, è più temibile di una plateale menzogna)/. Dal 24 maggio parleranno gli avvocati di parte civile e le difese. Poi la corte entrerà in camera di consiglio, rifletterà, e dirà se davvero Andreotti e gli altri imputati sono colpevoli di quell'omicidi) vent'anni fa. E se meritanti I'1 tolo.

Luoghi citati: Caltagirone, Capaci, Perugia, Roma