Telefoni e fantasmi di Sandro Cappelletto
Telefoni e fantasmi Telefoni e fantasmi lì "L telefono e cògli spiriti, due .modi per comunicare con l'ai trove, senza trovarlo e restandone trafitti. Nelle opere brevi di Francis Poulenc e Giancarlo Menotti, «La voix humaine» e «La Medium», si contempla l'assenza della ragione. La perdono ambedue: la donna, protagonista unica e senza nome, ossessivamente attorcigliata alla cornetta del telefono, il medium con cui spera di catturare di nuovo l'amante che l'ha lasciata, e Madame Flora, la falsa Medium che inganna i propri disperati clienti prima di sentire, durante una seduta spiritica, il gelo di una mano misteriosa serrarsi sulla sua gola. «La voix humaine», un testo originale di Jean Cocteau, debutta alla Comédie-Frangaise nel 1932; per la prima volta, un oggetto di consumo quotidiano diventa il fulcro drammaturgico di una creazione artistica. Cocteau comprende, con l'anticipo profetico dei creatori, il dirompente potenziale emotivo-nevrotico del telefono, confidente ed estraneo, tramite di contatti e di freddezza, muto imbuto dove precipita la nostra voce, anche se nessuno l'ascolta. E molte volte, durante il «monodramma» i silenzi, le attese di lei, danno esattamente questa impressione. Quando Poulenc, nel '59, riprende la commedia cucendola addosso a Denise Duval, interprete a lui fedelissima e di formidabile talento teatrale, lo scrittore scrive al compositore: «Hai trovato l'unico modo per dire il mio testo». «Dire», ricorrere alle potenzialità espressive e sceniche di una voce che non canta, ma parla, grida, sussurra, implora, attende, freme, trema, esplora tutto il tragitto dal pudore all'esi- Tel bizione più impudica. Il titolo non potrebbe essere più preciso e più evidente nel sottolineare il conflitto tra la molteplicità invadente delle ansie di lei e l'immobilità disperante di quell'apparecchio, di quel filo attorno al quale non resta che impiccarsi, e attendere. La musica corteggia la voce, ne amplifica le intenzioni e le intemperanze, copre i suoi silenzi, sa farsi evocazione e commento, ribadendo la duttilità, la grazia come l'efficacia perfino realista, di un musicista al quale la ricorrenza del centenario ha portato, almeno in Italia, un'attenzione piuttosto episodica. Con Torino, soltanto Trieste lo ha ricordato, allestendo «I dialoghi delle Carmelitane», ma la versatilità e l'eleganza di scrittura di Poulenc meriterebbero altra considerazione. La voce e la musica, tuttavia, non bastano: la scena della «Voix humaine» è dominata dalla presenza ininterrotta dell'interprete, che di nient'altro dispone se non del poprio «peso» scenico e vocale. Oltre al telefono, naturalmente, alla serie di gag che consente: erano i tempi in cui la telefonia era solo fissa, per chiamare bisognava passare attraverso un operatore, la linea cadeva volentieri; solo le interferenze erano meno frequenti. Anche Giancarlo Menotti, in un teatro di New York nel 1947, aveva voluto rappresentare lo stesso oggetto, nell'opera buffa «Il telefono o l'amore a tre». Significativa la diversità del titolo: il compositore italiano, ma musicalmente cresciuto negli Stati Uniti, coglie, a differenza di Cocteau e Poulenc, l'aspetto comico e grottesco dell'invenzione mi tecnologica. Avesse voglia, tra un Festival di Spoleto e un restauro dell'amatissimo castello scozzese, di ritornare sull'argomento, oggi troverebbe non pochi nuovi spunti narrativi. L'accostamento proposto dal Teatro Regio è meno diretto, più allusivo. La scrittura del libretto e della musica della «Medium» (New York, 1946) viene stimolata da una serie di esperienze spiritiche vissute dallo stesso autore e ricreate in un ambiente povero e degradato, invaso dalle devastazioni della quotidianità e attraversato dalla presenza di Toby, ragazzino muto, alieno, perseguitato dal sadismo di Flora. Per il tempo di un'intera generazione la musica di Menotti è stata, in Italia, giudicata con sufficienza. La capacità di creare situazioni di forte impatto teatrale non sembrava supportata da un'analoga densità di pensiero musicale, da una scrittura strumentale e vocale diretta, realista. Se la «Medium» arriva a Torino per la prima volta, altrove le sue opere, concepite più spesso per i teatri di Broadway che per i tradizionali palcoscenici lirici, venivano tradotte in molte lingue - la parola vi ha sempre un peso significativo - e rappresentate con frequenza. Interprete del dittico, e anche regista della «Medium», è Renata Scotto, cantante che ha saputo conciliare i tanti ruoli della lunga carriera con le mutazioni e le disponibilità della voce. Da Lucia, Gilda, Marguerite, Butterfly alla donna senza nome de «La voix humaine» e a Madame Flora il passo è lungo; una nuova prova per la sensibilità del suo talento. Sandro Cappelletto
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