SETTANTA ICONE DI SARA E ABRAMO

SETTANTA ICONE DI SARA E ABRAMO SETTANTA ICONE DI SARA E ABRAMO Simboli e riti del pensiero ebraico A quando, nel corso di questo secolo, l'immaginazione e il linguaggio simbolico sono stati «sdoganati» dall'emarginazione e dalla chffidenza in cui li aveva relegati un certo razionalismo di stampo ottocentesco, l'attenzione degli studiosi si è rivolta con crescente frequenza e competenza all'investigazione del mondo simbolico e delle strutture dell'immaginario. Il fenomeno ha avuto, e ha in maniera crescente in questi ultimi anni, in Italia e all'estero, feconde ricadute sul mercato editoriale, che produce Dizionari, Enciclopedie, Introduzioni, opere specialistiche e te3ti divulgativi. Interesse significativo di una nostalgia di verità e di radici che si esprime in una ricerca transculturale di senso e di fondamento: il simbolismo, fenomeno che traversa tutte le culture e che in ultima istanza rinvia innegabilmente a una sorta di universalità dello spirito umano, rappresenta una basilare forma conoscitiva e viene incontro alla domanda non circa l'aitla, la In causa, il perché, rna circa la destinazione, la finalità, il senso profondo dell'uomo e del suo essere nel mondo. L'approccio al mondo dei simboli manifesta la tendenza a interrogarsi su ciò che è umanamente costante e primordiale, sui tratti umani generali e condivisi al di là delle cangianti espressioni culturali e attraverso di esse. E' in questo ambito che si colloca l'opera coraggiosa e originale di Giulio Busi dedicata al simbolismo ebraico. L'autore tenta per la prima volta l'impresa di percorrere il frastagliato cammino del simbolismo ebraico seguendo i percorsi tracciati nel patrimonio letterario ebraico da settanta «lemmi», termini di particolare spessore semantico che fungono du centri simbolici, felicemente definiti «icone del pensiero» (polvere, colonna, leone, occhio, casa, Eden, verità, albero, fuoco, ruota, oro, prostituta, manna, messia, ecc.). L'erudita opera segue dunque le evoluzioni e le mutazioni di significato che un simbolo assume in diversi contesti: normalmente a partire dal fondo di tutto il pensiero simbolico ebraico, cioè la Bibbia, fino ai testi hassidici del Sette e dell'Ottocento, passando attraverso il Talmud e la letteratura midrashica, Sacadyah Ga'on e Mose Maimonide, lo Zohar e la letteratura cabbalistica, Mose Cordovero e Isacco Luria, il Baal Shem Tov e Nachman di Bratslav, ecc. Dunque, dai più antichi strati della letteratura biblica fino all'Ottocento, nel corso del (male «la progressiva secolarizzazione della cultura ebraica causò l'affievo- lirsi della forza creativa del simbolismo, che venne sempre più sostituito da altri linguaggi, ritenuti più consoni alla modernità». L'opera è strutturata in una densa e fondamentale introduzione (con importanti proposte di tipo metodologico circa la «filologia del simbolo»), nel «Lessico» vero e proprio che affronta gli itinerari dei 70 simboli esaminati e, infine, in un'antologia che raccoglie 10 testi per ciascun simbolo per un totale di 700 testi della letteratura ebraica, di cui la maggior parte erano inediti in italiano e diversi appaiono nella prima traduzione assoluta. La parte centrale dell'opera sarà fonte inesauribile di scoperte per il lettore. Egli scoprirà che Mose non fu solo legislatore, guida e organizzatore del popolo di Israele, ma anche una sorta di patrono dell'alchimia: non bruciò forse il vitello d'oro sciogliendone poi nell'acqua l'oro e facendolo bere ai figli d'Israele macchiatisi di idolatria? Così dice il libro dell'Esodo (32,19-20) e gli alchimisti medie¬ vali considerarono quell'episodio come prova del fatto che Mose fosse in possesso del segreto delì'àuriìmpotabile, oggetto del desiderip L d$jjb_ &cnim^ à conoscenza di «Lilit», spirito maligno nominato nella Bibbia (Isaia 34,13-14) e immaginato dal folklore ebraico come una figura femminile terrificante, alata e con lunghi capelli, archetipo della femminilità perversa. Stupirà di fronte alle differenti sembianze assunte dal serpente nella Bibbia e poi nel Talmud, nei Pirqé de-rabbiEli'ezer (raccolta risalente probabilmente all'VIII sec.) e nella Guida dei perplessi di Maimonide ( 1200 ca.) nel Sefer hasidim (Germania, XII-XIII sec), nella letteratura cabbalistica medievale e nel Maharal di Praga (ca. 1525-1609). Del resto, il serpente è l'immagine per eccellenza della trasformazione e della mutazione. Ma, di fatto, tutte le immagini verbali recensite da Busi hanno qualcosa in comune con il serpente e la sua inafferrabilità in quanto arrivano, nel corso della loro storia, a caricarsi di una costellazione di sensi pressoché infinita. La polisemia del simbolo nell'ebraismo è radicata nell'affermazione biblica che dice: «Una parola ha detto Dio, due io ne ho inteso: questa è la potenza di Dio» (Salmo 62,12). Qui è la radice del principio fondamentale dell'esegesi giudaica per cui «in ogni parola (scritturistica) brillano numerose luci» (Zohar III,202a) e ogni parola e ogni versetto «ha settanta volti» (BeMidbar Habbà XIII, 15). Qui si comprende perché la storia del simbolismo ebraico sia anche, e inestricabilmente, storia dell'esegesi giudaica delle parole della Torah, della Bibbia. E si comprende come il libro di Busi non presenti solo, e tanto, un'abbondante messe di materiale erudito, ma sia una chiave appropriata e privilegiata per entrare nell'ebraismo e per conoscere l'anima ebraica. Enzo Bianchi Un lessico ragionalo con 700 testi in gran parte inediti. Tante scoperte, come Mose patrono dell'alchimia, depositario del segreto aureo rJÉJ 11 Mose infrange le tavole dei Dieci Comandamenti: illustrazione di Gustave Dorè RELIGIONE SIMBOLI DEL PENSIERO EBRAICO Giulio Busi Einaudi pp. XXXV///-754 L 130 000

Luoghi citati: Germania, Israele, Italia, Praga