DA UN SOLO CHICCO 340 SPIGHE IN CIRENAICA

DA UN SOLO CHICCO 340 SPIGHE IN CIRENAICA DA UN SOLO CHICCO 340 SPIGHE IN CIRENAICA Bastò una frottola per incendiare i Balcani UH " A storia maestra di vita?». Forse c'è ancora qualcuno in giro disposto a condividere tjuesta affermazione. Anche se definitivamente rassegnati ad un mondo di simultanei e, spazialmente, remoti presenti che in diretta s'impongono al nostro guardare secondo un ininterrotto comporsi, un misterioso svanire, un ■ inquietante riaccostarsi, conserviaI mo il sospetto che il vecchio CiceroJ ne avesse visto giusto. ■Ja E tuttavia I impressione è che, fittiH iwnwrtBÉMI almeno (fui da noi, anche nei mo menti in cui sarebbe necessario ricorrervi con una certa frequenza, vada sempre più ad affievolirsi il bussare alla memoria - di ciò che è stato, eli ciò che abbiamo vissuto, letto, rammentato - por afferrare il senso del nostro presente. Davanti alle propagande belliche che come in tutti i conflitti non hanno mancato né mancheranno di far da ingrediente anche a questa guerra in corso c'è qualcuno - per caso - che abbia rammentato la «regina di tutte le balle» mai apparsa, ai fini di una propaganda interventista, su un quotidiano italiano? Era il 1911 e la geniale invenzione - come ricorda Italo Pietra in un suo prezioso libretto, Il paese di Perpetua, da lungo tempo fuori commercio era data dalla «frottola delle 340 spighe nate da un solo chicco in Cirenaica, era data dalla «frottola delle 340 spigpubblicata dal Corriere della Se ra, nell'articolo di fondo, proprio la sera del 27 settembre, mentre non ò ancora lanciato alla Turchia il nostro ultimatum». Si sta parlando, come certo si è compreso, del nostro intervento in Libia, voluto da Giolitti, e dal quale - in seguito alla sconfitta della Turchia che dà fiato all'imprevista alleanza tra la Serbia, la Bulgaria, il Montenegro e la Grecia - si riaccenderà l'ennesima guerra balcanica! Prima" contro l'occupante turco e quindi, quando sono ancora da asciugare i protocolli del Trattato di Londra che il 30 maggio 1913 ha fissato i criteri di spartizione dei territori conquistati, tra i bulgari e tutti gli altri contendenti ai quali nel frattempo si è unita anche la Romania. Tutto questo macello alla faccia della lungimiranza del buon Glolitti, che, come spiega nelle sue memorie Alessandro De Bosdari, uno dei più sperimentati ambasciatori di quegli anni, aveva avuto «preoccupazione precipua che quell'impresa si localizzasse, o por meglio dire, si specializzasse in un conflitto italoturco, che non avesse ripercussioni di sorta su nessun'altra quistione politica ed in specialissimo sulla t [uestione balcanica... ». Ma ovviamente una pretesa di questo genere era piuttosto stravagante: «E' innegabile - scrive l'ambasciatore - che fino dal primo scoppio delle ostilità italo-turche il governo bulgaro e quegli degli altri Stati balcanici avevano deciso in cuor loro di non lasciar passare un'occasione cosi propizia... più che il governo poi, l'opinione pubblica bulgara si persuase immediatamente di avere l'Italia come virtuali; alleata nell'impresa die già si stava divisando». Vale a dire la prima guerra balcanica (almeno di questo secolo) contro la Turchia. E quindi la seconda, Per arrivare, nell'estate del 1914, alla guerra serbo-austriaca determinata dalle rivoltellate di Gavrilo Princip contro l'arciduca austriaco Francesco Ferdinando e la moglie. Anche in quel primo accendersi di un «conflitto locale» che diventerà poi una grande guerra (anzi, la «grande guerra»), c'è un ultimatum - in dieci punti - a Belgrado. E Belgrado afferma di accettarlo respingendo però la presenza di controllori militari austro-ungarici sul territorio serbo. Una crisi «delimitata» deflagra così, nel giro di una manciata di giorni, a guerra mondale. Certamente la colpa di tutto questo disastro non sarà stata della spiga di grano che ha fatto da efficacissimo motivo propagandistico all'intervento italiano in Libia. Ma la faccenda della spiga e dell'incredibile fertilità del suolo di Cirenaica, spiega ancora Italo Pietra, viene «letta e creduta da milioni di italiani, riprodotta da centinaia di giornali, contribuisce a creare la frenesia collettiva. Quando si riprendono i lavori parlamentari - la guerra in Libia, sarà bene rammentarlo, viene decisa senza alcuna deliberazione parlamentare, nel bel mezzo di una vacanza parlamentare che si protrae per sette mesi e mezzo - il ministro degli Esteri annuncia che sono escluse dalla discussione le questioni politiche e militari. «La guerra è condotta con una gestione fuori bilancio, allo scopo di persuadere l'opinione pubblica che un'impresa di tale importanza, e costata oltre mille milioni di lire del tempo, si può effettuare senza alcun costo, quindi senza imposte e senza debiti». E la stessa cosa - della guerra che non costa nulla - è già stata sostenti ta nel 1894 da Crispi, quando deve spiegare al Parlamento le motivazioni per l'annessione di Cassala nel Sudan. La Storia si ripete, ma - a quanto sembra - viene poco consultata. Poche, di questi tempi, le ricostruzioni di ampio respiro sulle passate crisi balcaniche, né si ha l'impressione che ai nostri ragazzi, nelle scuole di ogni ordine e grado, davanti al grandinare di immagini di bombardamenti e profughi che giungono da quegli scacchieri di guerra, vengono offerte - al di là delle «dirette» televisive - scialuppe un po' più solide per navigare non solo nel presente della «ete», ma negli abissi del passato. Per capire, comprendere, farsi davvero un'idea di quel che, essendo già stato, dispiega nell'accadere non banali analogie ma forse - modalità, pavlovianamente inestirpabili, di ciò che è, o sarà, o potrebbe essere l'evoluzione della guerra. Anzi - come pudicamente si dice oggi - della «crisi». E' come se dentro questo nostro Paese vivessero contemporaneamente due pens1erixehe- nella sua Apologia della storia un maestro come Marc Bloch ha espresso con semplice efficacia. L uno è dato dal fatto che «l'incomprensione del presente nasce fatalmente dall'ignoranza del passato. Forse però non è meno vano affaticarsi a comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente». A qualche pagina di distanza, il padre delle Annales sostiene un'altra argomentazione. Tale, forse, da spiegare le ragioni dell'attuale silenzio della storia: «Le rivoluzioni delle tecniche hanno smisuratamente approfondito le differenze psicologiche tra le generazioni. L'uomo dell'età dell'elettricità o dell'aeroplano si sente, forse non del tutto a torto, assai lontano dai suoi antenati, in maniera più imprudente ne trae volentieri la conclusione di aver cessato di essere determinato da loro». E cosi ogni «balla di guerra» sembra nuova e vera. E ogni conflitto - al suo inizio - limitato. Anzi, «specializzato»: come diceva il buon ambasciatore De Bosdari. Orette del Buono Giorgio Boatti gboattl@venus.lt Gioititi e la Libia: come la propaganda intervenuta toccò Usuo massimo nel 1911 con un artìcolo di fondo sul «Corriere della Sera» e come, di conseguenza, (tarli la guerra coi turchi Giovanni Giolitti: dopo il nostro intervento in Libia (ed in seguito alla sconfitta della Turchia che dà fiato all'alleanza tra Serbia, Bulgaria, Montenegro e Grecia) si riaccenderà l'ennesima guerra balcanica, la prima del nostro secolo jHHHnF'\ ri:n.soNA(i<;i cmemorif. ■BHHn E oni'haiiv ■WBIb i.mia U Da leggere: Italo Pietra Il paese di Perpetua Feltrinelli.Milano I97S Alessandro De Bosdari Guerre Balcaniche Mondadori. Milano 1925 Marc Bloch Apologia della Storia Einaudi. Torino 1969