Riso sempre più amaro di Mario Baudino

Riso sempre più amaro Una mostra celebra a Vercelli il restauro del capolavoro di De Santis Riso sempre più amaro Un documento eccezionale su un mondo di fatica scomparso La tecnologia ha sostituito le mondine, ma il settore è in crisi Mario Baudino inviato a VERCELLI |1 IDEA migliore è stata pro/ babilmente quella di mettere fianco a fianco, nella mostra dedicata al restauro di Ifliso amaro che si è aperta ieri al «Dugentesco» di Vercelli, i fotogrammi, le immagini di scena ma anche quelle scattate in risaia dai fotografi dell'agenzia vercellese Baita fra il '46 e il '50. Perché guardandolo si capisce immediatamente in che cosa il film che Giuseppe De Santis girò nel '48 in queste campagne è il documento più «vero» d'un mondo scomparso: le mondine dei Baita sono quasi sempre all'asciutto, sorridenti, vagamente in posa, e la risaia sembra uno stagno tranquillo. Ki.so amaro, invece, è acqua viva. Acqua sui campi, fango, pioggia, acqua che deborda e che allaga, e poi naturalmente sudore e zanzare e fatica e mondine secche o polpute con la loro fisicità debordante e quasi i loro odori, in quell'Italia lontana e contadina la cui memoria si è «salvata» in un romanzo d'appendice che ha il volto di Silvana Mangano. Un feuilleton che fece scandalo e non solo ideologico. «Per la prima volta - ricorda il regista Carlo Lizzani che fra gli autori della sceneggiatura- in un film italiano protagoniste assolute erano le donne». Visto oggi può apparire celebrativo, ingenuo e magari un po' «kolkoziano» e tuttavia, ammettiamolo, resta un capolavoro. Vercelli ha finanziato il restauro del film, che era ormai in condizioni di grave deterioramento, ed era stato inserito dal Ministero nella lista dei «cento film da salvare». Ora che l'opera è compiuta, la città delle risaia festeggia: insieme alla mostra e alla stampa di una serie di pubblicazioni, ieri è stata ufficialmente proiettata, anteprima d'un passato quasi remoto, la versione originale ricostruita e reintegrata grazie a un lungo lavoro di scavo e di collazione fra lo pellicole rimaste in giro nei quattro angoli del mondo. Riso amaro torna a Vercelli, con una mezza idea di fermarsi (c'è un progetto di costruire qui una sorta di museo dedicato al film, un po' come c'è in Irlanda per L'uomo di Aron) e diventare una sorta di memoria vivente. Anche perché, a parte l'acqua, il regista e la troupe oggi stenterebbero forse a riconoscere i luoghi. Sono passati 51 anni, e non sono pochi. Soprattutto nel mondo dell'agricoltura, dove nulla, o quasi, è più come prima. Le risaie del vercellese, che proprio in questi giorni l'acqua sta tirando a specchio d'un cielo vagamente plumbeo, sono tra le campagne più tecnologiche che si possano immaginare. Dal laser (per verificare che i campi siano perfettamente Usci e orizzontali! ai diserbanti sempre più sofisticati, alle macchine che distinguono i chicchi buoni e quelli cattivi, la coltivazione del riso ha lasciato gli aironi sul pelo dell'acqua e le rane appena sotto, ma ha fatto a meno di quell'esercito di lavoratrici stagionali che venivano a estirpare le erbacce, a «mondare» appunto i campi. E naturalmente non basta: siamo nel più importante distretto europeo per questa coltura, che si estende nel Novarese e nel Pavese, ma la concorrenza degli Stati Uniti e dell'Estremo Oriente è minacciosissima. Il riso italiano, che poi è per il 51 per cento il riso europe, deve essere protetto da Bruxelles con ragnatele di regolamenti, compensazioni, aiuti. E sente la crisi. Le mondine continuano a lavorare, in Asia, con tempi e fatiche e schiene spezzate e acqua dovunque, che somigliano molto a Riso amaro. Il risultato sono prezzi naturalemente inferiori, il rischio è che piano piano qualcuno cominci a sradicare le piantine e dedicarsi ad altre colture. Riso amaro è irripetibile, come lo sono Silvana Mangano, Raf Vallone, il giovane e riccioluto Vittorio Gassman e la storia stessa di quel film, che venne sì girato in risaia ma diventò anche una specie di festa-tormentone nazional-popolare: Ci lavoravano 22 attori, 42 tecnici e naturalmente centinaia di comparse, mondine «vere». Durante la produzione furono organizzati un concorso di bellezza (per «Miss Risaia), una gara ciclistica, una partita di calcio. L'alluvione del filò è «finta», ma proprio a Veneria di Lignana, il set più importante, scoppiò un incendio che tutta la troupe contribuì a spegnere, per salvare i «veri» magazzini del riso. C'era persino Robert Capa, che fece la sua brava serie di scatti. E Vercelli spera di portare presto queste foto in città, dall'America. Chi restò a Roma fu Guttuso, autore di alcuni cartoni colorati usati poi per la pubblicità del film. A guardarli oggi, non rendono giustizia alle mondine, sono enfatici e retorici. Meglio la Mangano vera. Che comunque sia, non è del tutto scomparsa dalla scena, non è l'icona di qualcosa che è stato cancellato. Nelle risaie, ogni anno, qualche mondina (per la verità, insieme ai primi extracomunitari) ritorna: per selezionare il riso, nei campi dove si riproduce quello da seme. E' un lavoro «specializzato» (e durissimo): che non può fare nessun altro. Silvana Mangano In una scena del film che ne fece una diva Accanto a lei in un lavoro che mescolava carica ideologica e sensualità (indimenticabili le immagini della Mangano che balla Il boogie-woogie) c'erano Vittorio Gassman Raf Vallone e l'attrice americana Doris Dowling