Open con un campione, sognando i banditi

Open con un campione, sognando i banditi CONFESSIONI Open con un campione, sognando i banditi Alla prima buca come all'esame di maturità debutto Vittorio Sabadin OLI sponsor dell'Open d'Italia di golf hanno sempre la pessima idea di invitare un certo numero di giocatori dilettanti a disputare una gara con i professionisti che precede la gara vera. Pessima idea perché è un'offerta che qualunque mediocre golfista dotato di buon senso dovrebbe rifiutare e che invece nessuno rifiuta mai: quale tennista non sognerebbe di fare un doppio con Sampras? E quale calciatore non accetterebbe di giocare in attacco con Ronaldo se ne avesse la possibilità? Diciotto buche a fianco dei migliori giocatori del mondo sono un'occasione irripetibile, che può diventare un bel ricordo - o un incubo - per tutto il resto della vita. La formula pro-arn funziona così: tre dilettanti formano una squadra con un professionista. Al termine di ogni buca si contano i colpi fatti e viene segnato nello score il punteggio del gio¬ catore che ne ha fatti di meno. Se fosse così semplice, i dilettanti della squadra potrebbero mettersi il cuore in pace e lasciare fare al professionista: è chiaro che lui andrà meglio di te in tutte le buche. Ma il sistema degli handicap assegna ai dilettanti alcuni colpi di vantaggio, il che vuol dire ad esempio che in una buca nella quale il professionista deve fare quattro colpi, tu ne puoi fare cinque. Insomma, il «prò» si aspetta che tu faccia il tuo dovere, porti a casa qualche buca ben fatta e sostenga la squadra quando non ci riesce lui. Armato dei miei 18 colpi di handicap (uno per buca) e insieme con i miei compagni d'avventura Daniela Zambarbieri e Roberto Sardi mi sono avviato alla partenza della buca numero uno con la stessa sensazione che si provava entrando nell'aula dell'esame di maturità: una gran voglia di tornare indietro. Nella gare di golf la partenza è il momento più terribile. Mentre ti prepari al primo colpo e sistemi la palla, hai decine di persone intorno che ti osservano in silenzio e aspettano di capire, da quell'unico singolo colpo, di che pasta sei fatto. Lo capiscono i tuoi compagni di gioco e più di tutti lo capisce il professionista, che è in grado di giudicare un giocatore anche solo da come tiene la mazza in mano. Dopo il primo colpo, di solito il professionista sa che cosa fare della sua giornata. Può trasformarla in un allenamento e non rivolgerti praticamente più la parola, oppure decidere che vale la pena di tentare ed essere prodigo di consigli- Un primo colpo troppo a destra, uno troppo a sinistra e uno troppo corto non hanno minimamente scalfito la fiducia di Mathias Gronberg nella sua squadra. Gronberg è uno svedese di 29 anni che abita a Montecarlo ed è al decimo posto nell'ordine di merito europeo, il che vuol dire che l'auno scorso ha vinto premi per circa un miliardo. Come se 11 sia guadagnati, lo si è capito dal suo primo tiro: un drive di 250 metri che ha mandato la pallina a cadere esattamente dove doveva per poter arrivare al green con il secondo colpo. La prima buca del Golf Club Torino è un par cinque, da fare quindi in cinque colpi, e mentre i dilettanti entravano in un bosco con il secono colpo, in un altro con il terzo e con il quarto evitavano per un pelo un ruscello, Mathias, come se niente fosse più facile, arrivava vicino al green con il secondo, imbucando con altri due. Ogni giocatore di golf può illudersi di essere bravo finché si misura con gli amici del suo circolo, ma quando sta di fianco a un campione può solo sperare nella reincarnazione: non gli basterà una vita per arrivare a quei livelli. Per Gronberg anche la seconda buca è stata una passeggiata, la terza è stata un miracolo. Nei campi da golf si vedono situazioni difficili di ogni tipo: giocatori sono stati fotografati in cima ad un albero, intenti a colpire la palla caduta nell'intersezione fra due rami, o a piedi nudi nell'acqua, nel vano tentativo di recuperarla da un fosso. Il secondo tiro di Mathias ha mandato la pallina a incastrarsi fra le assi di un ponte di legno. Che cosa si fa in questi casi? I dilettanti tirano fuori dalla sacca il libretto delle regole di St. Andrews per vedere se trovano una scappatoia; Gronberg e i professionisti come lui tirano fuori un ferro e con un colpo impossibile per qualunque mortale mandano la palla vicino alla buca. Alla fine delle prime nove buche, la squadra era sotto il par di cinque colpi, tre dovuti al professionista, due ai dilettanti: porta sfortuna parlarne in gara, ma il punteggio non era male e facendo un po' meglio le seconde nove si poteva anche aspirare ai primi posti della classifica. Ma è stato alla buca numero dieci che Gronberg ci ha apiegato perché non avremmo mai potuto farcela: «Ho fatto almeno trenta pròam - ha raccontato - e ne ho vinte due o tre. Per vincere ci vuole un buon professionista ma ci vuole anche un 'bandito' tra i dilettanti». Quelb che lui chiama «banditi» li riconosci perché guardano ogni buca con gli occhi di un predatore, parlano pochissimo e solo di golf; possono anche giocare male qualche buca, ma non mollano mai e prima o poi riescono a fare qualcosa di straordinario. Poiché di banditi nelle immediate vicinanze non se ne vedevano, ci siamo finalmente rilassati. Gronberg è stato paziente oltre ogni limite. Se qualcuno finiva nell'erba alta diceva: «Non ti preoccupare, sembri Ballesteros: ero qui con lui ieri e ha fatto lo stesso». Sui green dava ottimi consigli per imbucare da lontano considerando tutte le pendenze del prato e se l'Open non sarà vinto da un italiano, spero che lo vinca lui. Il cervello dei golfisti ha una particolarità: consente di ricordare solo i colpi migliori e fa dimenticare rapidamente quelli peggiori. Abbiamo finito a meno 7, come Ballesteros e davanti a Rocca, e questo è tutto quello che racconteremo in futuro di questa giornata. «Sono quei giocatori che non mollano mai e guardano il campo come un predatore»

Luoghi citati: Italia, Montecarlo, Ponte Di Legno, Torino