«Portatene, vogliono capire»

«Portatene, vogliono capire» «Portatene, vogliono capire» La psicologa: così controllano le emozioni TORINO CON i bambini si deve parlare della guerra, si deve affrontare l'argomento». Senza pensare di mantenerli «nella loro beata innocenza». Che non c'è, secondo Silvia Vegetti Pinzi, docente di Psicologia dinamica all'università di Pavia. Perché bisogna parlarne. «Le informazioni circolano in modo così capillare che i bambini sono completamente coinvolti. Ricevono informazioni ad alto livello di emotività: la morte, le violenze, la perdita della casa e delle terre. Sono argomenti a cui sono molto sensibili. Ma a questa età sono egocentrici, si sentono più coinvolti nei fatti di quanto succeda agli adulti. Perciò bisogna aiutarli a relativizzare». Cosa dire. «Maestri e genitori devono aiutarli a porsi quattro domande fondamentali: dove, quando, come, perché». Dove: «Le coordinate geografiche. Prendete una carta o il mappamondo e mostrate ai bambini i luoghi in cui succede la guerra». Quando: «La guerra è adesso, non nel futuro. Non possiamo dire che ci sarà una terza guerra mondiale, perché al momento non lo sappiamo». Come: «Le forze in gioco, cioè non tutto il mondo, ma solo alcune popolazioni». Perché: «Dare spiegazioni, dire che ci sono Sopolazioni diverse, con storia e regioni differenti. Raccontare che si tratta di Paesi caratterizzati da di¬ verse economie: alcuni sono più agricoli, altri più industrializzati». Dare un giudizio sulla guerra. Per la professoressa Vegetti Pinzi bisogna anche che i bambini «diano una valutazione morale della guerra. Il bambino deve diventare attivo, coinvolto, e capire che può fare qualcosa per gli altri». E come? «Offrire la paglietta. Donare giochi e abiti. Così possono capire quali sono i loro privilegi, e cosa possono fare per chi ha perduto i privilegi. Questo comvolgimento serve moltissimo a controllare le emozioni». I maschi e il fascino delle arnii. «E' normale che i bambini, soprattutto i maschi, sentano attrazione per le macchine della guerra. Bisogna però spiegare loro che non esi- stono armi mtelligenti. Le conoscenze tecniche dei maschi vanno benissimo: sanno tutto del famoso aereo invisibile, anche che uno è stato abbattuto. Ciò li aiuta a non mitizzare, a relativizzare il loro mito fantastico: le Guerre stellari, le armi buone che ci difendono da extraterrestri cattivi... Allora diciamo loro che qui non ci sono extraterrestri, ma terrestri. E che i bambini vengono colpiti da una parte e dall'altra, che le sofferenze non sono solo serbe o solo kosovare». Le femmine sono indifferenti alla guerra. «Le bambine tendono ad essere disinteressate alla guerra. Invece bisogna aiutarle a conquistare un loro punto di vista, farle più attente alle conseguenze della guerra, richiamare la loro attenzione sulle figure femminili protagoniste del conflitto: le donne che partoriscono per strada, che mantengono i legami famigliari e le relazioni affettive anche nelle situazioni più estreme. Nelle guerre le donne accudiscono i corpi, procurano l'acqua, puliscono le tende, tranquillizzano i bambini. Ci dicono che la vita continua. Su queste figure va focalizzata l'attenzione delle bambine. I maschi sono già coinvolti. Le femmine no, ma è giusto che anche loro abbiano un personale punto di vista. L'ho detto anche in una lettera alla direttrice di "Io Donna", Fiorenza Vallino: non lasciamo i nostri figli soli davanti alla guerra». Ibru. gio.l Silvia Vegetti Finzi, docente di psicologia dinamica all'Università di Pavia. «I maschi provano attrazione per le macchine della guerra. Bisogna però spiegare loro che non esistono armi intelligenti»

Persone citate: Fiorenza Vallino, Silvia Vegetti, Silvia Vegetti Finzi, Vegetti

Luoghi citati: Pavia, Torino