«Quel giorno, con Padre Pio» di Igor Man

«Quel giorno, con Padre Pio» L'INCONTRO NEL '49 NELLA SUA CELLA/A CONTATTO CON L'ENIGMA DI UN UÒMO «Quel giorno, con Padre Pio» «Mi disse: "Su questa terra miracoli non ne fa nessuno"» testimonianza Igor Man Pi AD RE Pio: santo o stregone? Straziato, come Francesco d'Assisi, dalle cinque piaghe di Gesù di Nazareth ovvero isterico, un frate malato di protagonismo, oppure talpa del Sacro venuta dal buio del Medio Evo per rivelarne la luce che nessuno (o pochi) ammette abbia rischiarato quel tempo remoto? Certamente l'amarcord del Vecchio Cronista sull'incontro ch'ebbe (giovanissimo) con Padre Pio il 10 di febbraio del 1949, non presume di suggerir risposta ai tanti e opposti interrogativi più sopra sintetizzati. Tuttavia può, forse, quell'incontro lontano secondo il calendario, epperò (curiosamente) presente nel mio presente, forse, dico, quell'incontro può, oggi, valere da testimonianza. A New York, un giorno del luglio del 1950, il Grande Eusebio, Montale, mi disse: «La cronaca è il primo gradino della interminabile scala che porta alla verità. La verità, qualche volta, arriva alla poesia». Sono parole che, da allora, han dato un senso al mio lavoro: di cronista, giustappunto. All'epoca avevo pianificato un servizio inedito (oggi diremmo uno scoop): avrei trascorso, finto medico, una settimana nel lebbrosario di Acquaviva delle Fonti, per tentar di capire come quei malati terminali vivessero; mó rendo ogni giorno un po' di più, la loro tragica realtà. A Bari, in attesa che dalla direzione del lebbrosario venisse il via, confidai a Vittore Fiore d'insigne meridionalista recentemente scomparso) timori e scrupoli ma l'amico, tra l'ironico e il comprensivo: «Va' da Padre Pio, a San Giovanni Rotondo, chissà che non ti riesca di farti benedire da lui», mi disse. Allorché il pullman «Foggia-S. Giov. Rotondo e rit.» si arrestò sulla piazza del paese, nevicava in sordina. «Si compri una coppola, presto sarà tormenta», mi disse il giornalaio al quale avevo chiesto la strada pel convento. Acquistai la coppola in un negozietto odoroso di cera antitarlo, e mi avviai. (Trascrivo quanto scrissi cinquantanni fa). Il vento faceva danzare la neve, vaste lenzuola di nuvole gridio viola coprivano veloci il cielo che, presto, fu tutto color della seppia morta; sembrava vicinissimo alla terra, appariva minaccioso. Di schianto arrivò la tormenta. La via che reca al convento è scandita dalle stazioni, in ceramica, della Via Crucis. Sparirono. La neve m'entrava furibonda negli occhi, giù per il collo, m'invadeva le scarpe e mi toccava lottare col vento per non cadere ma di colpo il cielo fu squarciato dall'azzurro e piovve il sole a illuminare la chiesa attaccata al convento. Padre Pio usciva dal confessionale facendosi strada a fatica, massiccio, curvo nelle spalle poderose, fra le «pie donne» che lo stringevano d'assedio, afferrandolo pel saio, stampandogli baci isterici sulle mani coperte da mezzi guanti di lana a maglia. Quella divozione convulsa lo disturbava e fu con visibile sollievo che il frate guadagnò la sacrestia dove le donne non erano ammesse. Ma 11 dentro fu letteralmente assalito da una schiera di uominidi tutte le età, d'ogni condizione«Buoni, statevi quieti, figliuoli).sorrideva Padre Pio fra l'impacciato, il divertito, il compiaciuto. Vengo da Roma e vado lontano, padre, può concedermi cinque minuti? Senza rispondere mi guardò sorridendo ironico mentre irato saliva improvviso un coro di protesteMolti di questi uomini aspettavano d'esser ricevuti «a tu per tu» da quindici giorni, un oste veneto addirittura da undici anni. Ad un certo momento l'immancabile catanese disse: «Padre, mio fratello à mor«Scsi to in Russia e non era cresimato. Posso far dire messa per lui anche se non fu cresimato?». Il frate cappuccino venne inopinatamente colto da subitaneo furore: «Ma che vi pare - gridò paonazzo -, che per andare in Paradiso c'è bisogno di documenti e bolli? Ma che idea avete della bontà divina? L'avete presa per ìu municipiul». E siccome il catanese, mortificato, era caduto in ginocchio, Padre Pio, tirandolo su robustamente, proseguì affettuoso: «Tuo fratello è morto facendo il dovere suo. Fa' dire tutte le messe che vuoi ma soprattutto prega, non stancarti di pregare: con lui per lui stesso». Ora cava da una profonda tasca misteriosa una scatoletta esagonale della magnesia sanpellegrino arrangiata a tabacchiera, e un fazzolettone rosso a puntini bianchi. Dispiega il fazzoletto su di un tavolo. Manco il tempo d'una tiratina di tabacco e il fazzoletto straripa di biglietti da mille. (Cinquantanni fa erano grandi (quasi) come mattonelle, decorati da ima Italia ben popputa, firmati Azzolini). Sono offerte per la «casa sollievo della sofferenza», l'ospedale che Padre Pio s'era messo in testa di costruire a ridosso del convento. (E' un'efficiente realtà oramai da anni). Il fra- aitato biìtvx nuftó te annoda il fazzoletto alla contadina e lo consegna a uno scaccino dickensiano che sparisce subito. Padre Pio motteggiò con questo e con quello, benedisse rudemente l'oste veneto, poi, d'improvviso, mosse verso di me e, presomi per un braccio, «Vieni», disse, tirandomi dentro la clausura. Non appena l'uscio si richiuse dietro le nostre spalle, vidi Padre Pio mutar espressione. Non più allegramente ironico ma mortalmente stanco, pallido, scolorita la barba e remoti gli occhi. «Ma tu che vuoi da me? Ecché stu luntanu che vai», disse. - Vado vicino ma è lontano: nel lebbrosario di Acquaviva delle Fonti, risposi. «Tu si 'nu giornalista, newero?*. - Sì. «Io coi giornalisti è meglio che non ci parlo. I giornalisti a me mi inguaiano perché scrivete che faccio miracoli, e li superiori si indignano, giustamente. Su questa terra miracoli non ne fa nessuno. Capito? Il tempo dei miracoli passò». E poiché, confuso, tacevo: «Tu che vuoi da me?», disse ancora ma questa volta con una qualche dolcezza. - Non lo so, padre. Avevo preparato tante domande, non ne ricordo una, dissi. Poi, maldestramente: - E le ferite, le fanno male le ferite?, domandai. «Figlio mio, perché mi chiedi questo?». Oramai nel pallone: - Mi dia un messaggio, padre. dissi, un messaggio per gli uomini di buona volontà, se ce ne sono ancora. «Chi dubita troppo può cadere in peccato. Non parlo solo del dubbio riferito alla parola di Dio. E' d'uopo non dubitare di nessuno, neanche del nemico». E siccome lo guardavo perplesso: «Lo so - sospirò -, è proprio difficile. Il demonio è ovunque, con forme diverse. Ma bisogna aver fede. Tu come sei messo con la fede, guagliòf». - Non lo so, padre. Va e viene, non lo so, ecco. «Allora attaccati a 'sti parole: certum est quia impossibile est. Questo è il segreto per credere». Adesso parla in fretta, agitato, candidamente preso da quanto dice. «Ecco, vedi figliuolo, sarebbe bello se tutti, nel mondo, decidessero d'esser buoni diciamo soltanto mezz'ora, in un giorno stabilito di comune accordo fra le nazioni. Mezz'ora soltanto di bontà, per vedere com'è giusto e buono vivere in grazia di Dio: senza guerra né violenza, senza peccato. Mezz'ora. Chissà se, dopo l'esperimento, l'umanità conquisa da tanto bene non decida d'esser buona sino al recide rationem». La sua mano carezza la mia spalla. La stringo piano e incredulo, quasi inorridito, sento il pollice affondare nel palmo della mano del frate. Violenta, una vertigine improvvisa mi sconvolge, ma è un attimo, per fortuna: «Dio ti benedica, guagliò, salutami i lebbrosi e buon proseguimento di vita. E ora sciò, vattenne», mi congeda. La sua cella porta il numero 5. Sull'architrave è scritto: «La gloria terrena ha per compagna la tristezza». Il mattino dopo, all'alba, assistetti (per completezza di informazione, diremmo oggi) alla messa di Padre Pio. Non andavo quasi mai in chiesa, allora. Ero troppo giovine e scettico, allora, per avere la forza dell'umiltà. Fu, quello, un «momento» che non ho mai scordato. Così come quando, a primavera, il vento carezza i campi di grano curvando il capo alle spighe verdi, e le spighe ondeggiano quasi a sussurrarsi misteri, le teste dei fedeli si mossero di colpo in un sussulto; e un mormorio incredulo corse la navata della piccola chiesa stracolma. Padre Pio, con quell'andatura stenta che gli faceva trascinare i sandali logori, s'apprestava all'altare. Le mani che reggevano calice e patena non erano ricoperte dai mezzi guanti di lana a maglia sicché le stigmate, impietosamente scarlatte, spiccavano contro i bianchi pizzi del rocchetto. (La vista di quel sangue è una rivelazione, per mi attimo ti mozza il fiato). Asceso lentissimamente l'altare (tutto è «fuori tempo», la messa durerà un'ora e tre quarti), si segna con quelle sue ma. ' ni che sembrano di cera, così belle e martoriate. Un exvoto. Sembra più magro e più vecchio. Stanco e lontano. Terribilmente lontano, stretto in mia tenaglia di ineffabile pena. Si volge verso i fedeli e con quell'aspra pronuncia sua sannita strascica il Domimts vobiscum: dominussevobiscumme, dice fioco. Et curri spiritu tuo, preghiamo. Dai precordi, come d'incanto, affiorano alle labbra le parole gravi della preghiera che nostra madre ci insegnò quand'eravano innocenti e che ora improvvisamente ricordiamo. E' lui che ha rimescolato il tempo, questo cappuccino ruvido, pio, dalle mani sanguinanti. Con le dita che tremano, Padre Pio fa per spezzare l'ostia. Ha tui attimo d'esitazione, gocce di sudore gli incoronano la fronte a mo' di spine, il suo corpo contadino è scosso da ima impercettibile vibrazione. Contagiosa. Il frate leva il calice e le sue stigmate lasciano trasparire la fiamma delle candele. Uno, due, tre secondi. Interminabili. Infine porta il calice alle labbra, beve smarrito, assente. Quasi in trance. (Parlando di Gesù, delle sue mani che spezzano il pane, «nella notte in cui fu tradito», Padre Pio recitava: Accépit panem in sanctas oc veneràbiles manus suas: prese il pane nelle sue sante e adorabili mani. Un - a riferimento tenero, scomparso dalla messa d'oggi. Sono tornato a San Giovanni Rotondo, ancora ima volta. (Poi mai più). Fu quando il Sant'Uffizio mise Padre Pio agli arresti domiciliari in cella giacché il Vaticano aveva riesumato le vecchie accuse («Un isterico», sentenziò Padre Agostino Gemelli, medico-psichiatra, il 16 aprile del 1920. «Un posseduto dal demonio, uomo lussurioso, e i monaci una banda di truffatori», denunciò nell'estate del 1927 Monsignor Gagliardi: sennonché, costui, da Vescovo, cadde nel peccato e diabolicamente), contro di lui, alle quali l'Ispettore (gogoliano) Monsignor Carlo Maccari cercò di aggiungerne altre, più aggiornate, ricorrendo, dicono, sinanco a im registratore nascosto nel confessionale. Invano, si direbbe ancorché mi suo rapporto (che Papa Giovanni rifiutò di leggere) affermasse: bis in hebdomada copulabat cum muliere, copulava due volte a settimana con donne, «guidate sino alla sua cella con segnali luminosi». In quel luglio del 1960, a Padre Pio non rimaneva che affacciarsi sull'imbrunire al balconcino della sua cella. Salutava i divoti (anche allora venuti da tutto il mondo) sventolando mi fazzoletto bianco. La sera del 31 luglio, un inaspettato colpo di vento fresco tolse di mano al frate il fazzoletto che sembrò dissolversi nel cielo prossimo all'invasione poderosa del tramonto. «Miracolo», gridò la piccola folla, «Miracolo» e qualcuno corse, vanamente, oltre il convento sperando di raccogliere quel fazzoletto mutato in colomba. Il martirio di Padre Pio, che per altro ha «buona stampa» un po' in tutto il globo: dai buddisti ai laici più severi, termina con l'avvento in San Pietro di Paolo VI. Un fine intellettuale, costui, avido di genuinità, chiaramente intrigato da quel frate cappuccùio, rozzo all'apparenza ma teologicamente (chi l'avrebbe mai detto! avveduto e innovatore. Paolo VI conosceva le «arditezze teologiche» del frate che addirittura nel 1929 scriveva e predicava (citiamo Filippo Di Giacomo) la pastorale familiare, l'opzione antropologica, la spiritualità coniugale, il passaggio dalla beneficenza alla giustizia, l'evangelizzazione mediante il lavoro, lo sviluppo sociale, chiamandolo, «come fare Paolo VI molti anni dopo, con l'Enciclica Populorum progressio, con il nome di Pace». Qualcuno ha scritto che Padre Pio «è la Terra» che sta in eterno. E dalla terra, pregando in latino (per concessione papale) lui entrava in «comunicazione diretta», lui che «parlava, confessava, miracolava in dialetto», col Signore Dio suo, ogniqualvolta diceva messa. Sembrava in trance, quando celebrava il rito, e forse non poteva accorgersi dei fedeli poiché, pregando, parlava a Lui, con Lui, calandosi nella passione di «Suo Figlio». Non oso immaginare che Padre Pio peccasse di superbia spirituale, solo che divorandolo l'ascesi, egli si isolava dal mondo. Dolorosamente. E quella sublimazione condita di pena fisica, era un fatto intimo, un accadimento che non si poteva spartire con gli altri. Era il suo (vero) miracolo. E non è un caso che un Papa di origmi proletarie, un Pontefice a suo modo ironico e qualche volta sbrigativo, im Vicario di Cristo che porta i tormenti del corpo, segnato da molte ferite, a modo di cilici o, così come Padre Pio soffriva le stigmate, non è mi caso, dicevo, che Giovanni Paolo II abbia affrettato la beatificazione di Forgione Francesco, inteso Padre Pio, «stigmatizzato» il 20 di settembre del 1918. Padre Pio è la terra, Giovanni Paolo □ l'albero che il tempo doloroso scava, giorno dopo giorno, per farne la Croce. «Uscito dal confessionale si fece largo a fatica fra le "pie donne" che lo strìngevano d'assedio, afferrandolo per il saio, stampandogli baci isterici sulle mani coperte da mezzi guanti» «Scrivete che faccio prodigi e i miei superiori si indignano, giustamente» «Sentii il mio pollice affondare nel palmo della mano del frate» Sopra: un devoto bacia a Pietrelcina una statua di Padre Pio. A sinistra: la cella dove visse il frate che domenica diventerà beato Pubblicazioni, video, gadgets: attorno all'evento della beatificazione è un fiorirò di iniziative commerciali