Leader del terzo partito, ma senza potere

Leader del terzo partito, ma senza potere Leader del terzo partito, ma senza potere La colpa (e l'errore): essersi arrogato compiti non suoi inviato a BELGRADO L'ERRORE di Vuk Draskovic, spiegava ieri una fonte piuttosto vicina alle fonti governative, non è stato di battersi per una soluzione sbagliata, ma di essersi arrogato compiti non suoi. «Trattare con lui - è stato l'esempio - sarebbe stato come discutere l'acquisto di un palazzo con un imbianchino». In effetti la posizione dell'uomo era, e resta, talmente marginale da rendere del tutto prive di senso le speculazioni riferite circa le «fratture politiche» o i nuovi «fronti di dissenso» a Belgrado. La realtà appare opposta: per ogni bombardamento in più, per ogni strage «inevitabile» di civili, il fronte interno si rafforza, si compatta, non tanto intorno al capo, quanto all'idea di resistenza. E anche l'ipotesi che adesso, dopo l'estromissione di Draskovic, si possano aprire nuove crepe attraverso proteste politiche o manifestazioni dei suoi militanti appare molto irrealistica. Il «Srpski Pokret Obnove», o Movimento per la resistenza sorba, pur restando il terzo gruppo politico del Paese (cir- ca il 22%, ossia 1.400.000 elettori), finora ha sempre funzionato come ruota di scorta dell'«Sps» di Milosevic, unito alla «Jul» della signora Markovic (44% alle ultime elezioni) e dai radicali di Vojslav Seselj (il 32%). Le cariche ottenute da Draskovic in cambio della partecipazione alla maggioranza nel Parlamento nazionale erano poco più che onorifiche: vicepresidente, tre ministri (Informazione, Commercio e uno senza portafoglio) dal governo federale, che per il boicottaggio del Montenegro non si riunisce da tempo ed in pratica non ha più poteri. Ieri uno dei fedelissimi, Milan Komnenic, dichiarava che il governo era «al 99% sulle posizioni di Draskovic» un'ora prima che il suo capo venisse silurato. Per giunta la sortita di Dra¬ skovic ha disorientato parecchio gli uomini del «Rinnovamento». Il partito ha una base composta da contadini, nazionalisti, monarchici, piccoli commercianti, persone di istruzione medio-bassa: una sorta di movimento peronista che in buona parte ha vissuto le ultime sortite di Vuk come un tradimento. E' del tutto improbabile che adesso quella gente scenda in piazza per di- fendere un leader alquanto screditato. Tutto questo però non significa che le trattative per la pace non possano trovare nei prossimi giorni altri «imbianchini», magari un po' qualificati a svolgere questo compito. L'altra sera un politico di ben altro spessore, Milan Matic, componente la direzione della «Jul», ha dichiarato al New York Times che a suo giù- dizio «questa settimana si concluderà con un primo accordo che prepara la pace». L'inviato in Libia Zoran Lilic da sempre piatto esecutore dei voleri di Milosevic - è servito a consegnare al colonnello Gheddafi altre proposte di accordo. Il fatto stesso elio quest'oggi l'inviato russo Victor Cernomyrdin torni a Belgrado in missione significa che i margini per un avvicinamento esistono. Belgrado l'altra notte è stata sottoposta al più massiccio bombardamento dell'ultimo mese, continua a subire devastazioni gravissime come il resto della Serbia e del Kosovo. Nello stesso tempo però gli «errori» della Nato si moltiplicano, la strage di bambini a Surdulica può aver provocato qualche ripensamento, e soprattutto l'esaurirsi degli «obiettivi militari» può solo spingere l'alleanza verso ii rischio di altri incidenti, e altre stragi di civili. E' su questi elementi che continua a snodarsi una partita politica che a Belgrado ha un giocatore solo, il quale notoriamente odia i tribuni. Ig. z.J Una fonte del governo di Belgrado «Negoziare con lui sarebbe stato come trattare l'acquisto di un palazzo con un imbianchino» Sembra che spiragli si stiano aprendo con politici di altro spessore come Matic (uomo di Mirjiana Markovic) o l'inviato in Libia Il presidente serbo Milutinovic tra le macerie di un edificio bombardato dalla Nato