Il benservito alla colomba Draskovic di Giuseppe Zaccaria

Il benservito alla colomba Draskovic «Sono vittima di un equivoco» poi torna nei ranghi: «Difenderemo il Paese fino alla morte» Il benservito alla colomba Draskovic Rugova-Milutinovic: sì all'autogoverno Giuseppe Zaccaria BELGRADO «Sorpreso e dispiaciuto», offeso con l'Europa e nuovamente nazionalista, pronto a combattere fino alla fine per un popolo «perseguitato come gli ebrei nella seconda guerra mondiale», voglioso di mostrare al mondo «tutte le immagini dei serbi uccisi dalla Nato», daieri Vuk Draskovic è formalmente fuori dal governo federale jugoslavo. L'antico detto serbo che il suo ex amico Djindjic citava l'altro ieri («il gallo che canta troppo presto finisce in pentola») ha rivelato una grande base di verità. Ieri pomeriggio, proprio mentre da Bruxelles il portavoce della Nato Jamie Shea annunciava che Milosevic era ormai «isolato», il premier federale Momir Bulatovic ha convocato il suo vice e l'ha messo alla porta senza complimenti. Accusato di aver espresso al mondo «opinioni personali contrarie alle posizioni del governo» e con questo di aver contribuito «a mettere in pericolo il morale della popolazione», Draskovic ha dovuto presentare le dimissioni anche a nome dei tre ministri e del viceministro che erano entrati con lui in un Parlamento federale che non si riunisce più da mesi, e la cui influenza sulle sorti del Paese è pari allo zero. Un po' spennacchiato nel carisma, adesso il leader china il capo, rientra nei ranghi e se nei contatti coi giornalisti stranieri mantiene ancora un certo piglio, negli incontri televisivi col Paese si mostra contrito. Le sue idee sul futuro delle trattative erano semplicemente sbagliate, il governo federale conferma che la Jugoslavia è disposta ad accettare solo una forza Onu disarmata. Più tardi, in una conferenza stampa nella sede della Spo, partito serbo per il rinnovamento, Draskovic appare un po' in imbarazzo. Dalle pareti sono state tolte le bandiere jugoslave, restano solo gli stendardi del gruppo politico. «Sono caduto vittima di un equivoco» esordisce, cercando di spiegare al mondo l'estromissione. «Quando mi sono state chieste le dimissioni le ho presentate subito. Credo di aver fatto comunque il mio dovere. La Nato rappresenta la maggiore potenza nel mondo, il mio Paese è vittima di una punizione collettiva, come avvenne agli ebrei durante il secondo conflitto mondiale». Come chi deve farsi perdonare un errore grave, Vuk passa immediatamente dalle scuse alle iperboli. Tre giorni fa diceva di voler creare «gli Stati Uniti di Serbia», adesso sentenzia che ■ Surdulica è come Mauthausen e noi serbi continueremo a combattere per i nostri principi e per la difesa del nostro Paese». Il nuovo, anzi antichissimo copione nazional-unita- rio a questo punto richiede l'invettiva: «lo sono quello che due anni fa guidava le manifestazioni di Belgrado, quello che ha creduto in una Serbia europea, le bandiere che sventolavano durante i cortei erano i simboli del nostro sogno. Oggi quella stessa Europa ci bombarda, ottanta iscritti al mio partito sono già morti, uno di essi nel- l'edificio della.tv. Chiedo a tutti di mostrare finalmente al mondo le nostre vittime, tutte le immagini dei nostri morti...». Sipario. Applausi, pochi Le odierne posizioni di Draskovic circa la crisi del Kosovo si possono sintetizzare così: fine dei bombardamenti, ritorno di tutti i profughi controllati da «organizzazioni intemazionali», armati o meno non si sa. Criticato dalla sua stessa base, tornato per un attimo sotto i riflettori del mondo, Vuk Draskovic adesso torna nell'ombra, forse ancora più dietro delle ballerine di fila. Le tesi ufficiali del governo sono quelle che il presiente serbo Milutinovic ha ribadito ieri in un comunicato congiunto con Ibrahim Rugova, dopo un incontro a Pristina. Come se nulla stesse accadendo - meglio, come se nessuna devastazione possa modificare i sacri principi nazionali - i due firmano una dichiarazione congiunta in cui si si ribadisce l'impegno a dare «un autogoverno» al Kosovo e si sollecita «la formazione di un Consiglio esecutivo temporaneo» per gestire «le mutate condizioni e gli attuali problemi» del Kosovo fino a quando non sarà stata raggiunta una soluzione politica della crisi. Si chiede una ripresa del dialogo tra il governo serbo e tutti i rappresentanti politici degli albanesi kosovari, per trovare un accordo su «un'ampia autonomia» con pari diritti fra i cittadini di tutte le etnie e nell'ambito dell'integrità territoriale della Jugoslavia. Nel quadro di questo dialogo, dice ancora il testo, potrebbe essere concordata mia presenza di inviati internazionali come «ospiti» nel Kosovo. Nel frattempo, Draskovic tenterà di capitalizzare il suo «errore». In un modo o nell'altro è tornato a proporsi come interlocutore dell'Occidente, il suo elettorato tradizionalista in parte lo abbandonerà ma forse nel dopoguerra i veri oppositori torneranno a sostenerlo. Il gallo che cantò troppo presto è finito in pentola, ma per il momento nessuno ha ancora portato l'acqua a bollore. II vicepremier Vuk Draskovic è stato cacciato dal governo federale per aver criticato le posizioni di Milosevic Nella foto del 1996 un Draskovic che ancora arringava gli oppositori del regime in piazza i