La sfida del killer della dottoressa di Fulvio Milone

La sfida del killer della dottoressa Sparita la targa posteriore, sul sedile destro una grossa macchia di sangue La sfida del killer della dottoressa Lecce, ha fatto ritrovare l'auto del delitto Fulvio Milone invialo a LECCE «Il viso dell'omicida è quello di Satana», tuona dall'altare Domenico Caliandro, vescovo di Ugento e Santa Maria di Leuca. E chissà che qui non ci sia anche lui, l'assassino. Un volto anonimo, irriconoscibile nel silenzio gravido di tensione che opprime la Chiesa Madre, mimetizzato fra quelli di mille e mille uomini stipati sotto le navate o in piedi sul sagrato e nella piazza del paese. Fra le seimila anime di Gagliano del Capo, una manciata di case a cinquecento metri dal mare e a pochi chilometri dalla punta estrema del tacco dello stivale, ce n'è una del colore della pece. Porta su di sé il peso della morte di Maria Monteduro, dottoressa della guardia medica, 39 anni, un marito e un bambino di tre mesi, Daniele. Ma non sembra soffrirne più di tanto. Ha sangue freddo da vendere: ieri, poche ore prima che il vescovo officiasse la messa funebre e pronunciasse quelle parole terribili, ha fatto trovare l'auto della vittima, una Renault grigia, a poche centinaia di metri dal centro di Castrignano, un paese a neanche cinque chilometri da qui. La macchina era parcheggiata davanti a una palazzina, con la chiave d'accensione inserita nel cruscotto. Sul sedile accanto a quello del conducente c'era una vistosa macchia di sangue. La targa posteriore, chissà perché, è sparita: il particolare costituisce una delle non poche stranezze di questa brutta storia. Di fatti singolari ce ne sono davvero tanti, nell'omicidio di Maria Monteduro, uccisa nella notte fra sabato e domenica. A cominciare proprio dalla macchina. Perché l'assassino l'ha fatta trovare solo ieri, trentasei ore dopo il delitto? Perché ha voluto nasconderla per tutto questo tempo? Avrebbe potuto distruggere con il fuoco ogni possibile traccia che potesse tornare utile agli investigatori, ma non l'ha fatto. Perché? Quelle chiazze di sangue significano molto per il magistrato e i carabinieri che indagano sulla morte di Maria, sfigurata con una pietra appuntita. 1 primi colpi alla testa li ha ricevuti nella sua auto, ma non era lei che guidava. L'assassino l'ha poi trascinata sul selciato, l'ha scaraventata dietro un muretto oltre il ciglio della strada e l'ha lapidata, seppellendola dai fianchi in su sotto decine disassi. Quindi è fuggito, portando chissà dove e chissà perché l'auto che ha fatto ritrovare intatta ieri mattina. Conosce come le sue tasche la campagna e le stradine che collegano i paesini delia zona, e di cui si è servito per allontanarsi inosservato dopo il delitto. Perché non ha imboccato la strada principale, cioè la litoranea? Probabilmente sapeva bene che in questo periodo la costa è sorvegliata ventiquattr'ore su ventiquattro, ma soprattutto di notte, dalla polizia e dalla guardia di finanza a caccia di immigrati clandestini: avrebbero potuto fermarlo per un controllo, e quelle macchie di sangue sul sedile sarebbero state subito notate. Se le cose stanno davvero così, è difficile pensare che a uccidere Maria Monteduro sia stato un tossicomane in preda a un raptus. Ci troviamo davanti a un omicidio premeditato, studiato con cura. L'assassino ha attiralo la dottoressa in una trappola, probabilmente conosceva la sua vittima o ha trovato degli ottimi argomenti per indurla a lasciare l'ambulatorio della guardia medica, sabato notte poco dopo le 3,30. Non era facile convincerla, perché lei aveva una paura maledetta del turno di notte. «A quell'ora succedono cose strane: il telefono squilla ma nessuno parla, e io non mi sento sicura», aveva detto Maria a una collega, quasi una premonizione di quello che le sarebbe accaduto. L'ultima traccia di lei ancora in vita è legata ad un altro mistero, quello del nome di un uomo che la dottoressa ha annotato nel registro dell'ambulatorio, appunto alle tre e mezzo. Un nome, Nicola Scarascia, seguito da un'annotazione. Poche righe per spiegare che a quell'ora si è presentato un tossicomane in stato confusionale, Nicola Scarascia, con una ferita al labbro superiore. L'uomo, ha scritto ancora Maria, ha preteso di essere accompagnato a casa, mai poi si ò allontanato da solo. Chi è? I carabinieri lo hanno cercato ovunque, ma non hanno trovato nessuno che si chiami Nicola Scarascia, sia tossicodipendente e abbia una ferita alle labbra. Di certo, c'è solo che dopo quella visita misteriosa Maria Monteduro si è allontanata dall'ambulatorio. Il marito che non l'ha vista rincasare e alle sei ha tempestato di telefonate la guardia medica, ma nessuno ha risposto. E il medico che avrebbe dovuto dare il cambio alla dottoressa, Francesco Mele, alle otto di domenica ha trovato i locali deserti e un cartello appeso alla porta d'ingresso. Un avviso: «Medico in visita domiciliare. Attendere». Il corpo martoriato di Maria 6 stato trovato quella stessa mattina, a una decina di chilometri dal centro abitato. «Non riesco a immaginare che ad ucciderla sia slato uno del paese - dice Salvatore Monteduro, sindaco di Gagliano e cugino della vittima - .Mi rifiuto di credere che fra noi si nasconda l'assassino di una donna che qui ha l'atto solo del bene». Prima che il corteo funebre si muovesse verso la Chiesa Madre, nella camera ardente allestita nella sala del consiglio comunale un uomo fissava attonito la bara coperta di fiori. Giuseppe Greco, il marito di Maria, stringeva fra le mani un pupazzo di stoffa, il gioco preferito di Daniele. Il bambino era troppo piccolo per partecipare a quello strazio, e così lui ha portato l'orsetto di pezza che la madre aveva comprato poco prima di essere ammazzata. Ieri i funerali «Il viso dell'assassino è quello di Satana» Parcheggiata a 5 chilometri dal paese della vittima Il funerale della dottoressa uccisa (in alto) Dietro la bara il marito e la madre

Luoghi citati: Gagliano Del Capo, Lecce, Ugento