Un piano del G7 per aiutare i Balcani di Stefano Lepri

Un piano del G7 per aiutare i Balcani Sino a ventimila miliardi la ricostruzione. L'Italia condona 2800 miliardi ai Paesi più poveri Un piano del G7 per aiutare i Balcani L'America protesta: sosteniamo l'economia mondiale da soli Stefano Lepri washington Si avvia la progettazione di aiuti economici per i Balcani, da attuare a guerra Finita: le cifre sono di là a venire. Frattanto, si è discusso di come affrettare la convalescenza dell'economia mondiale dalle crisi del '97'90; e p,li americani sono tornati alla carica, sostenendo che Europa e Giappone devono darsi più da fare per la crescita. Il ribasso al 2,5% del costo del denaro nell'area euro, che alcuni in Europa giudicano Un eccessivo, da questa parte dell'Atlantico pare insudiciente. Guerra contro la Serbia a parte, nella loro riunione primaverile i ministri del Tesoro e banchieri centrali dei 7 grandi si mostrano meno pessimisti di qualche mese fa: soprattutto perchè reputano più remoto il rischio di un crollo di Wall Street. Guerra a parte: per l'appunto è controverso quanto pesi questo fattore. La grande finanza di New York e Londra lo considera marginale; mentre in alcune capitali del continente europeo, Konia in purticoliire, lo temono assai. U gran parlare di aiuti che si ò fatto in questi giorni aveva scopi immediati, come facilitare il consenso della Bulgaria e della Romania all'uso del loro spazio aereo. Quanto occorrerà poi è incerto: secondo la Deutsche Bank, un piano di ricostruzione per i Balcani costerebbe 20-30.000 miliardi di lire. Molto di più, secondo la Merrill Lynch, si spenderebbe nei caso estremo di un protettorato nel Kosovo sostenuto con l'uso di forze militari a terra: 100-120.000 miliardi. «Non abbiamo cifre» ammette con candore il ministro tedesco Hans Eichol, Il G7 ha deciso che Emi, Banca mondiali? e Bers comincino a studiare i numeri e le strategie, spiega Carlo Azeglio Ciampi. Se ne riparlerà pili in là: gli Usa sono al sicuro, protetti dai 100 miliardi di dollari (1110.000 miliardi di lire) del loro attivo di bilancio; non lo sono Francia, Germania e Italia, a rischio di violare il «patto di stabilità». In Europa il problema immediato è di effetti depressivi della guerra su economie stagnanti o quasi. Mentre «l'economia mondiale non può volare con la spinta di un solo motore, quello americano», fa presente il sottosegretario al Tesoro Larry Summors, cervello della politica economica di Clinton. La serio di crisi del '97-'9B sarà anche «finita» come ha voluto proclamare il direttore generale del Fondo monetario, Michel Camdessus; però non è chiara la velocità del recupero. Alle richieste americane di «rilancio della domanda» in Europa il presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer ha replicato che il calo dei tossi al 2,5% crea le condizioni per una ripresa nella seconda parte dell'anno; tuttavia questa ripresa sarà lenta, perché la fiducia delle imprese è bassa, perché c'è una sorta di «apatia» degli investimenti. I banchieri centrali europei passano il cerbio acceso ai governi: «La politica monetaria ha fatto la sua parte». Nella visione italiana, 1'«apatia» è stata tradotta in cifro: sono circa ventimila miliardi, secondo il modello econometrico della Banca d'Italia, gli investimenti che sarebbe stato ragionevole aspettarsi date le condizioni esterne, e che invece mancano all'appello. Sul perché, Ciampi e il governatore Antonio Fazio in parto dissentono, ma l'ansia sugli effetti negativi della guerra è comune. A Washington molti ritengono le stime della Banca Mondiale più fondate di quelle del Fmi: nel '99 crescita appena all'1,2% per la Germania, 1,4% per l'Italia. D'accordo con i colleglli europei, Ciampi sostiene che non c'è da preoccuparsi per la discesa dell'euro rispetto al dollaro. La temono gli americani, i cui conti con l'estero sono sempre più in negativo. Sulle valute, il comunicato finale del G-7 (Usa, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Canada) è dunque vago. Un risultato vero degli incontri è la nascita della «Ccf», linea di credito potenzialmente illimitata per aiutare i Paesi «sani» che potrebbero essere colpiti da contagio finanziario in future crisi. Ma questa Contingency credit facility è frutto di un accordo raggiunto all'ùiterno del Fmi, non del G-7, come hanno fatto implicitamente notare Camdessus e Ciampi, che del Fmi presiede il «comitato interinale». A un'altra decisione pratica, il condono dei debiti ai Paesi più poveri del mondo, l'Italia contribuisce abbuonando 2800 miliardi di lire: «Unica tra i paesi del G7» commenta Fazio. Erano in gran parte crediti irrecuperabili, e non sarà un gran sacrificio; diverso il discorso per i Balcani. Intanto, nell'atrio del palazzo, dove c'è una mostra sulla storia del Fmi, attira l'attenzione la vignetta un po' qualunquista pubblicata da un giornale americano nel '47, tempi di piano Marshall: «Che cos'è la guerra? Spendere miliardi di dollari per radere al suolo un Paese nemico. Che cos'è la pace? Spendere molti miliardi dT'dollari per ricostruire quello che abbiamo distrutto». min