« La Nato è la nostra bandiera »

« La Nato è la nostra bandiera » GLI EX COMUNISTI NELLA NUOVA ALLEANZA « La Nato è la nostra bandiera » Parla il presidente polacco Kwasniewski intervista Jas Gawronskl VARSAVIA Aleksander Kwasniewski, presidente della Repubblica di Polonia, è oggi il leader più autorevole fra quelli emersi dal crollo del sistema comunista nell'Europa centrorientale. E questo malgrado fosse stato comunista lui stesso, giovane e promettente. Si impose sulla scena nazionale esattamente dieci anni fa, guidando la delegazione del partito comunista alle trattative della «tavola rotonda» che portarono la Polonia alla democrazia. Dall'altra parte del tavolo c'era Lech Walesa, suo rivale di sempre: già allora si diceva che per precauzione il tavolo doveva avere un diametro di almeno otto metri perché il record di distanza nello sputo era di sette metri. Ma poi Kwasniewski ha saputo tessere buoni rapporti con i suoi oppositori di Solidarnosc, persino con il Vaticano di Papa Wojtyla. Oggi nel cortile neoclassico che separa una delle più belle strade di Varsavia, la Krakowskie Przedmiescie, dal palazzo presidenziale, sventolano due bandiere: la polacca e quella della Nato. Come mai? «La Polonia, dice il presidente, è entrata nella Nato da poche settimane, dal 12 marzo, e in quella occasione le bandiere si sono innalzate un po' dappertutto, per dimostrare il nostro entusiasmo, la nostra gioia. Certo, avremmo preferito festeggiare più a lungo questo nostro successo, e non essere subito confrontati con una operazione bellica. Ma almeno in questa tragedia abbiamo avuto una soddisfazione: la stragrande maggioranza dei polacchi e delle forze politiche approva la nostra posizione a favore dell'intervento militare nell'ex Jugoslavia. E' solo da pochi giorni che la Nato garantisce la nostra sicurezza e noi siamo pronti ad accettare le nostre responsabilità. Ma la tanto declamata «solidarietà slava» non ha influito svi vostro atteggiamento prò Nato? «Guardi, noi siamo stati vittime di Stalin e di Hitler, viviamo sulle terre che hanno visto l'olocausto, hanno visto esodi forzati di popolazioni. Noi polacchi, soprattutto i più anziani, siamo molto sensibili alle violazioni dei diritti dell'uomo. Siamo convinti che opporsi all'aggressione è un principio essenziale, mentre reagire in ritardo o non reagire per niente di fronte alle atrocità, alle violazioni dei diritti più essenziali, produce conseguenze nefaste. Vale la pena di ' morire per Danzica"? Per noi questa è una domanda concreta, non una bella frase, un semplice slogan. Allora si decise di non morire per Danzica, e poco dopo si combatteva su tutti i fronti e si moriva per molto meno che per Danzica. Ecco perché noi siamo convinti che contrastare, estirpare il cancro balcanico oggi, malgrado la dolorosità dell'operazione, sia molto meglio che subirne le conseguenze più gravi domani. Quanto alla solidarietà slava, oggi si manifesta solo tra Russia e Serbia. Povero Tito! Se penso che aveva costruito l'unità della Jugoslavia in funzione anti Mosca, immagino che in questi giorni si stia rivoltando nella sua tomba». La vostra posizione è quindi opposta a quella russa. Ciò crea problemi nei vostri già difficili rapporti? «Certo non li facilita. In questi giorni era prevista una visita a Varsavia del primo ministro Primakov, ma l'ha rinviata, diplomaticamente ci ha detto che era per motivi interni, sarà anche vero perché problemi ne hanno, ma credo c'entri anche la crisi attuale. Io ritengo la Russia correspondabile per questa crisi, perché avrebbe potuto e dovuto esercitare pressioni più forti su Milosevic prima che iniziassero gli attacchi, indurlo ad accettare le condizioni occidentali. Aveva la possibilità di farlo e non l'ha fatto. Capisco i legami storici, culturali, linguistici tra Russia e Serbia, ed era difficile attendersi da Mosca una condanna di Milosevic, ma l'iniziativa sovietica per trovare una soluzione della crisi è stata del tutto insufficiente». Intravede il pericolo di un coinvolgimento russo nelle ostilità? «Per adesso lo escludo. La Russia, pur essendo sentimentalmente dalla parte dei serbi, sa bene che non può sbattere la porta all'Occidente, perché senza la collaborazione soprattutto economica di quella parte del mondo non soprawiverebbe. Continuerà come ha fatto finora: dichiarazioni forti accompagnate da segnali di disponibilità ad accordarsi con l'Occidente. Almeno fino a quando saranno al potere gli attuali dirigenti, che si possono definire democratici. Se dovessero cambiare, allora sì la situazione potrebbe diventare pericolosa! Preferisco non pensarci. In ogni caso è essenziale coinvolgere la Russia nella soluzione finale di questa crisi, per evitare che possa ripetersi». Oltre che dalla Russia, la posizione del governo polacco è diversa anche da quella del Papa polacco. Ciò la imbarazza? «Il Papa ha ragione, questa guerra è una sconfitta per tutta l'umanità, credo abbia detto così. La posizione morale del Papa è comprensibile. Ma lui non deve prendere decisioni, mentre i politici quando sono esaurite le possibilità negoziali devono trarne le conseguenze. Noi non potevamo chiudere gli occhi, dire che c'erano sì violazioni dei diritti dell'uomo ma erano lontane da noi, non ci riguardavano, sarebbe stato troppo ipocrita. Certo, atrocità non succedono solo nel Kosovo, ed oltre a domandarci come andrà a finire nell'ex Jugoslavia dobbiamo anche chiederci come ragire ad altre situazioni simili nel mondo». Questa sua acclamazione del ruolo della Nato, che ricorda quella del suo amico on. D'Alema, può dipendere anche dal suo passato comunista, dal complesso di voler dimostrarsi più papista del Papa? «Io voglio essere solo un alleato serio, e, forse sì, il mio passato mi obbliga ad essere ancora più serio. Noi siamo nella Nato da un mese, l'Italia dall'inizio, ci sentiamo sotto osservazione, da come ci comportiamo oggi dipenderà la nostra posizione politica all'interno dell'aleanza. Dipenderà se verremo visti come un club di discussione, o un Paese serio, con un governo che parla con una sola voce». «Siamo stati vittime di Stalin e di Hitler, sappiamo cosa sono le violazioni dei diritti dell'Uomo "Morire per Danzica" per noi non è uno slogan» Il presidente polacco Aleksander Kwasniewski, un ex comunista alla guida di un Paese della Nato