La miglior propaganda si chiama verità
La miglior propaganda si chiama verità La miglior propaganda si chiama verità L'autorevolezza della Bbc come fattore di vittoria dalle guerre mondiali al Kosovo Anche i nemici dell'Occidente ascoltano avidamente il radiogiornale del World Service che definiscono come «la verità letta da gentlemen» Ma la sfìnge Milosevic, che ai proclami roboanti in stile Saddam preferisce un enigmatico silenzio, si rivela un avversario più insidioso del previsto John Keegan TUTTE la guerre moderne sono, in qualche misura, guerre di parole. La Gran Bretagna può essere considerata pioniera di questo genere di campagna. Il suo uso della propaganda di guerra è stato superiore già a quello della Germania nella prima guerra mondiale e da allora ha gestito un efficiente servizio per il trattamento delle informazioni. Questo fattore, fra gli altri, influì sulla svolta dell opinione pubblica americana in favore degli Alleati e a danno degli Imperi centrali, nel cruciale periodo prima dell'entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917. Hitler, che subiva il fascino della potenza intangibile dell'Impero britannico, fece del trattamento delle notizie il fulcro della sua ascesa al potere in Germania. Quando cominciò la seconda guerra mondiale, quel suo straordinario ministro della propaganda che fu Joseph Goebbels riciclò nella propaganda militare le arti che aveva usato nei trionfi elettorali nazisti. I britannici, a loro volta, uscirono dall'angolo rW combattere. Churchill creò sia un ministero dell'Informazione (alla luce del sole) sia un Esecutivo politico di guerra (segreto) per raggiungere con la propaganda il nemico. La Gran Bretagna si mise subito in vantaggio e ci rimase per tutta la guerra. Ma il più grande successo britannico derivò dall'applicazione dei princìpi dell'emittente televisiva nazionale Bbc, che a suo eterno credito si oppose a tutti gli sforzi di usarla per trasmettere pura e semplice propaganda, insistendo invece sulla necessità di dire la verità. Inevitabilmente, si trattava di una verità accomodata alle circostanze. Comunque la Bbc rifiutò categoricamente di trasmettere bugie. E questa è la fonte della reputazione globale di attendibilità di cui gode ancor oggi. Tale reputazione è perfettamente esemplificata dalla risposta data a un giornalista britannico da certi terroristi africani, cui domandava perché continuassero ad ascoltare il «World Service» della Bbc, per quanto ostile fosse alle loro attività. Volevano sapere che cosa succedeva nel mondo, ribatterono quelli, e il radiogiornale del World Service «è la verità letta da gentlemen». I gentlemen non sono stati del tutto eliminati dal servizio radiofonico, e il loro tono misurato continua a riscuotere gfiducia ovunque sia ascoltato. Ma nella guerra in corso, con la trasmissione delle notizie hanno cominciato a interferire certe voci di commentatori dei mass media, la cui ossessione riguardo a quello che viene detto, da chi e come, minaccia di offuscare quella che sta effettivamente accadendo. E' uno sviluppo assolutamente indesiderabile. Si cristallizza una tendenza, già in atto, a discutere gli sviluppi della guerra non nei termini di quello che si sta facendo, ma di quello che i capi della Nato sentono, o dicono di sentire, che si sta facendo. Per parafrasare, «il primo ministro ha assunto una linea di molto maggior fiducia nela valutazione dei progressi della campagna di bombarda¬ mento», oppure «la forte dichiarazione del presidente sugli scopi di guerra dell'Alleanza punta a lanciare un messaggio scoraggiante a Milosevic». Ci sono commentatori che si dedicano a sezionare il linguaggio di guerra, la forza crescente del vocabolario dei leader, come se si trattasse, di per sé, di un fattore di avvicinamento alla vittoria. E' arcinota l'ossessione della classe politica per quello che è riportato dai mass media. Ma quella che ora si sta sviluppando è una sorta di auto-ossessione dei media. Nessuna delle due può far danno, fintantoché sulle questioni della vita pubblica i politici cercano di capire che cosa può far loro ottenere il supporto di un pubblico, che a sua volta esige di veder realizzate politiche basate sul consenso. Se invece la classe politica, che ha ottenuto tale consenso, si fa indurre a credere, da mass inedia auto-ossessionati, che sta anche vincendo sul serio la guerra, allora è tempo di dire basta alla fantasia La guerra è una questione seria. Il suo esito non dipende da come i giornalisti giudicano quel che succede alle conferenze stampa della Nato. Dipende dagli eventi sul terreno. Churchill non lo perdeva mai di vista, pur soggetto com'era ad abbandonarsi a euforie momentanee. Così la sua reazione all'auto-congratulazione nazionale dopo il salvataggio di Dunquerque fu secca: «La guerre non si vincono con gli sgomberi», disse. Perii momento, non incombe su di noi un'umiliante ritirata dai Balcani. Prima di arrivarci, bisogna fare molte cose. La Nato deve trovare truppe in quantità sufficiente a spaventare o sconfiggere l'esercito di Milosevic. Deve trovare un punto di ingresso da cui si possa minacciare o lanciare una credibile invasione. L'euforica discussione della settimana scorsa sul significato del dispiegamento di 24 elicotteri Apache illustra quanto sia irrealistica la valutazione dei media su come si sviluppano gli sforzi della Nato. Gli Stati Uniti hanno perso 5000 elicotteri in Vietnam, solo una frazione del numero assai più grande che vi impiegarono. Ma non hanno vinto la guerra dol Vietnam. Frattanto, Milosevic non dice quasi niente. Fra le molte differenza da sottolineare tra la guerra del Golfo e quella in atto, c'è il divario tra il suo contegno pubblico e quello di Saddam Hussein. Saddam era prodigo di minacce a vuoto. L'interpretazione della sfinge che offre Slobodan Milosevic, benché non basti a fargli vincere la guerra, rende alla Serbia più del vano girare in tondo di coloro che in Europa e in America cercano un significato strategico nelle smorfie o nei sorrisi di un primo ministro o di un presidente. Tony Blair e Bill Clinton, reduci da facili vittorie politiche, impareranno delle dure lezioni prima che la campagna balcanica finisca. Tht» Daily Telegraph-La Stampa Nella vignetta di Tony Auth, apparsa su numerosi giornali americani, un soldato serbo di fronte alla scritta «mai più» ne cancella la prima parte facendola diventare «ancora»
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