LA POLEMICA
LA POLEMICA LA POLEMICA Celli: difendo Ennio Remondino Caro Direttore, trovo «molto imbarazzanti» le dichiarazioni di Deaglio sulla Stumpa di ieri a proposito di Remondino, e per più di una ragione. La prima, lo stile. Allussivo, reticente, un tantino subdolo, nel più puro paradigma di certa cultura «gruppettaro» Anni Settanta, abituata a insinuare ipotesi e a lasciare agli altri la responsabilità delle conseguenze. Da vero intellettuale di lungo corso. La seconda, i l'atti. Deaglio, lavora in Rai in questo periodo. Non gli costa niente informarsi. Se lo avesse l'atto avrebbe evitato di dire qualche stupidaggine di troppo. Saprebbe, tra l'altro, che la Kai ha a Belgrado tre giornalisti (oltre a Reniondino, Ugolini e Al'faitati); che Affaitati ha atteso oltre un mese il visto di entrata; che Canciani da Mosca è stato l'ermo al confine serbo 15 giorni in attesa di poter entrare, invano. Che altrettanto sta succedendo all'altro giornalista Rai Bonavolontà. Vogliamo continuare? Informandosi, invece di supporre e congetturare. Deaglio avrebbe scoperto inoltre che le troupe di cui dispone la Rai a Belgrado sono fatte da dipendenti Rai locali: ò un reato di lesa informazione e significa, sic et simpliciter, essere «una postazione avanzata di Milosevic» avere una struttura di corrispondenza attiva da più di un anno e mezzo? E sempre per dovere di informazione Deaglio avrebbe dovuto raccontare quanti giornalisti hanno in loco le altre televisioni straniere invece di confondere le acque con riferimenti, che ognuno sa essere impropri, al Golfo e alla Bosnia. Un buon giornalista non mescola le carte a questo modo, specie sulla pelle di chi rischia davvero. Terzo, il merito. Remondino, al contrario di chi sta nelle retrovie a sentenziare, a distinguere, a cercare le connotazioni del suo «status» (a proposito, perché non dire chiaramente che si sospetta di lui come connivente di qualche «servizio» piuttosto che come responsabile di servizi?), sta spendendosi in prima persona, in condizioni del tutto disagevoli come si può immaginare e come lui stesso non esita a dire: fa insomma quello che un buon giornalista può e sa fare, con i limiti che gli sono imposti, e senza diventare di regime. Noi che sappiamo molto bene le situazioni in cui opera e quello che gli succede, specie di notte, possiamo solo dire di essere orgogliosi di lui. Anche perché quando sbaglia e noi glielo diciamo, ha l'umiltà di riconoscere che ha sbagliato, che si è lasciato andare: non allude, non insinua, non incolpa. Un buon giornalista che non farà carriera come cattivo commentatore sulle difficoltà altrui. Del resto per convincersene basta rileggere l'intervista a Remondino, collocata accanto a quella di Deaglio. C'è un rigore etico che non ha bisogno dello schermo dei dubbi per assumersi le proprie responsabilità quando altri, invece, sanno solo attribuirle. Chapeaulll Pier Luigi Celli Direttore generale della Rai Deaglio: resto delia mia opinione Caro direttore, vengo a conoscenza di una lettera del direttore generale Rai a proposito della mia intervista al suo giornale. Mi preme ribadire: non no voluto insinuare nulla, anzi mi sembra di essere stato abbastanza esplicito. Per quanto riguarda il «lasciare agli altri la responsabilità delle conseguenze», non capisco cosa voglia dire, ma le assicuro che qualora conseguenze ci fossero nel mio piccolo non mi ritrarrò. Intervistato da «La Stampa» ho espresso il parere di uno spet¬ tatore che, come milioni di altri, aspetta i telegiornali Rai per avere notizie sulla guerra e non può non notare che la Rai ha un solo volto e una sola voce, che Remondino è oberato di impegni che lo costringono più a rispondere al telefono che a fare il proprio lavoro. Vedo che diciamo poi praticamente la stessa cosa quando lei mi fa notare tutti i limiti a cui Remondino è sottoposto. Non penso che Remondino possa essere connivente di «qualche servizio», possibilità a cui lei allude. Penso che svolga a Belgrado un ruolo più istituzionale che giornalistico, da diplomatico, da ministro degli esteri, (situazione che personalmente non condivido e che a mio parere riporta di molto indietro negli anni il nostro mestiere). Penso che sia una sorta di ostaggio che il regime serbo usa, in un Paese con cui siamo in guerra. Quando la tv serba è stata bombardata i tecnici e i giornalisti avevano due sole prospettive: o una notte da scudo umano o il licenziamento. Da spettatore le chiedo se questa sia una situazione normale e se non si possa fare nulla per migliorarla. Mi sono informato sui fatti su cui lei mi invita a documentarmi: al 12 aprile risultavano registrati all'ufficio stampa dell'esercito jugoslavo 470 giornalisti stranieri, in seguito sono di molto aumentati. Le principali televisioni dei Paesi Nato hanno in media tre giornalisti e un producer, usano proprie strutture per trasmettere e impiegano 615 persone (jugoslave e non) per la loro attività. Giornalisti della carta stampata e di televisioni private sono stati accreditati a Belgrado con un tempo di attesa medio di sette giorni ed è proprio per amore nei confronti della Rai che mi chiedo (e sono sicuro anche lei si chieda) perché invece i nostri siano ricacciati. Infine lei è stato prodigo di censure personali e professionali nei miei confronti. Dal momento che attualmente conduco una trasmissione per la Rai (Ragazzi del '99), mi farà certamente sapere se vuole che la continui. In caso decidesse per il contrario mi tirerò da parte e, le assicuro, senza aggravio per l'azienda. Enrico Deaglio Le reazioni di Storace e Serventi Longhi Per Paolo Serventi Longhi, segretario della federazione della stampa, quella di Deaglio è «una critica assurda da parte di un giornalista che sta a casa comodo alla sua scrivania nei confronti di uno degli inviati che con più puntualità e professionalità commenta da una sedia scomoda il conflitto dei Balcani». Il presidente della commissione di vigilanza sulla Rai, Francesco Storace, difende invece Deaglio: «Segnali di disagio sul modo di trattare il conflitto da parte di Remondino li ho avvertiti anche io. Ma in me finora ha prevalso l'idea che stare a Belgrado e riuscire a lavorare non è facile. Mi chiedo nero: perchè si può fare tanto chiasso per un Michele Santoro filo-serbo e non lo si può fare per Ennio Remondino?» Guerra nei Balcani e mass media dopo il bombardamento della tv serba Il direttore generale della Rai Celli
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