Il giudice Curie «Pago per tutti»
Il giudice Curie «Pago per tutti» Dal magistrato in cella per una mazzetta da 400 milioni Il giudice Curie «Pago per tutti» MILANO «Sono il capro espiatorio, quello che paga per tutti. Pago il clima politico di quegli anni, sono mortificato, sono rassegnato, ma il mio non era un grande reato», ripete come un disco rotto questo uomo invecchiato, seduto su una sedia a rotelle, gli occhiali sulla punta del naso. Un uomo piegato, ma non arreso anche se si trova nella sua cella al centro clinico del carcere di San Vittore. Chi se lo ricordava più, il giudice Diego Curtò. Se non era per i finanzieri che sono andati a prenderlo a casa per trasferirlo a San Vittore, a scontare il residuo di pena definitiva per quella mazzetta da quattrocento milioni - «Un regalo, una debolezza, ma ci sono stati reati più gravi...», ripete da sempre - questo distinto signore messinese di settanta anni che scriveva romanzi osannati da critici che parlavano di «serissime lezioni di decenza civile», questo signore che amava la nebbia e aveva l'ufficio a palazzo di giustizia, se non era per la Cassazione che ha confermato la condanna a tre anni 6 mesi e 15 giorni, questo ex giudice in toga per 40 anni, sembrava destinato a scomparire nel limbo delle cronache di Mani pulite. E invece no. Eccolo con il pullover scuro, i pantaloni grigi, mentre sulla sedia a rotelle va a colloquio con i suoi famigliari, la moglie Antonia Di Pietro salvata dalla prescrizione per i suoi viaggi in Svizzera con la valigetta piena di franchi, il figlio Giandomenico da sempre giornalista Fininvest. Eccolo che esce dalla cella con le sbarre e il blindato, primo piano, la sala operatoria in fondo, altri settantanove detenuti che lo guardano. E lui che racconta gli otto giorni contati uno ad uno, dalla sentenza definitiva della Cassazione al portone di San Vittore: «Non me lo aspettavo, non me lo aspettavo così presto. Non mi hanno dato nemmeno il tempo di presentare la domanda di arresti domiciliari per motivi di salute. Sto male, le gambe, il cuore...». Tolti i mesi passati nel carcere Verziano di Brescia quando lo arrestarono nel '93, le settimane passate agli arresti a casa, a Diego Curtò mancano appena 105 giorni per avere l'aflldamento ai servizi sociali. «Ma io spero di andare a casa prima, spero che accolgano la mia istanza, avevo i documenti quasi pronti», si lamenta l'ex presidente vicario del Tribunale di Milano, travolto dall'inchiesta Enimont, dal conto svizzero Whisky intestato alla moglie, dai 400 e passa milioni che lui al primo interrogatorio aveva giurato di aver preso in regalo, ma di aver gettato poi in un cassonetto. «Eeeh, il cassonetto... Volevo liquidare i danni, ma non si sono fatti più vivi. Neanche le attenuanti generiche mi hanno dato. Questa Cassazione mi ha deluso», e racconta dei due consiglieri sostituiti all'ultimo momento, del processo veloce, della sentenza che vive come una bastonata. «Dovevano ridurre la pena. Non hanno capito che si trattava solo di un regalo, accettato in un momento di debolezza?», chiede al parlamentare di Forza Italia e avvocato Michele Saponara che lo conosce da sempre, da quando Curtò era uno dei tanti giudici rispettabili e riveriti. Il primo a finire in manette. «Sì, ma che confusione quando mi arrestarono. Che spettacolarizzazione dietro a quei giorni», ricorda. «Va bene la certezza della pena, ma la giustizia dovrebbe essere anche elastica», commenta il parlamentare di Forza Italia. «La pena per Curtò è stata pesante, forse bastava aspettare qualche mese prima di applicarla, bastava attendere che presentasse le sue istanze per motivi di salute...», aggiunge comprensivo l'avvocato. [f. poi.) «Sono mortificato ma non era un grande reato: sconto il clima politico di quegli anni» Diego Curtò
Persone citate: Antonia Di Pietro, Curtò, Diego Curtò, Michele Saponara
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