Se a tavola arrivala burocrazia

Se a tavola arrivala burocrazia Se a tavola arrivala burocrazia Edoardo Raspolli SEI cuochi italiani, due stagisti giapponesi, due berrette bianche americane, sei «personale» di sala, un paio di sommelier e, da poco, anche un ingegnere ed una laureata in scienze delle preparazioni alimentari. Così, da qualche mese, in Italia, la struttura di un ristorante di tono. Così, da un anno, nel nostro Paese, lo staff di un posto qualunque della grande gola. Una delle frasi che maggiormente nino ripetere è questa: «Se uno non sa che mestiere fare e non ha soldi, si mette a fare il cameriere. Se uno non sa che mestiere fare ed i soldi ce li ha, apre un ristorante». Oggi, credo che questo distico raspelliano possa essere decisamente buttato nel cestino: al personale di sala e di cucina, alle berretto bianche, ai rondili, alle giacche di sala verdi e nere, si aggiunge, ahimè, il laureato al Politecnico od alla Cattolica di Piacenza ed i loro epigoni, gente che ha trovato un nuovo lavoro aprendo società di servizi e di consulenza elio mettono a disposizione di ristoratori disperati (o quasi). E' già, perché, se no, come si destreggerebbero i ristoratori italiani (e, meno, gli europei), tra la 626 e la HCCP? Come se la caverebbero titolari e dipendenti, magari con la terza media in tasca, tra norme di sicurezza e percorso dei prodotti alimentari da certificare prima di portare a tavola un cliente? Un celebre ristoratore colto ed umanista mi ha ricordato una frase di Giolitti: «In Italia le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici». Ed allora, per fortuna che il nostro Paese è sinonimo, anche, di arte di arrangiarsi. Per fortuna che, al di là di qualche facilone e di larghe sacche di corruzione, i nostri funzionari sono anche aperti, per intelligenza e disponibilità disinteressata a, se non chiudere gli occhi, almeno a socchiuderne uno. Se no, quella famosa cuoca dell'Italia settentrionale che adopera 20-25 rossi d'uovo per un chilo di farina, quella cuoca che apre tutte le mattine, a mano, una ad una, le uova delle galline del suo pollaio, dovrebbe smettere immantinente. Se no, la pasta fatta in casa dovrebbe essere prodotta in un locale apposito, guai a farla nella stessa stanza in cui si prepara, ad esempio, il pane; guai a farla nella stessa stanza in cui si prepara la pasticceria... E chi inai potrebbe fare o farsi fare quel salame contadino? Chi potrebbe salvare per la nostra gola, i ciccioli della lussuria gastronomica? E le verdure del proprio orto, sarebbero solo nell immaginario collettivo, non nella ghiotta accattivante sequela di piatti dei più grandi ristoranti italiani. Dietro la battaglia iperigienista, poi, potrebbero anche esserci gli zampini della grande industria alimentare che ha tutto l'interesse a che il nostro palato sia ottuso e non riesca a giudicare ed a differenziare. Tutto tragico, quindi? Forse no: il recente macro sequestro della fontina da parte dei Nas è l'ultimo episodio di un controllo che è, comunque, necessario, e che è fatto anche in difesa del nostro portafogli. Anche le parole dette da un alto ufficiale dei Carabinieri l'altro giorno ad Unomattina, le sue risposte ad Antonella Clerici, dimostrano intelligenza e disponibilità. L'ufficiale avvertiva che il latte fresco non può costare meno di 2000 lire al litro; ricordava che l'extra vergine non lo si può trovare a meno di 13.000 lire: insomma, non è sempre vero che in casa o fuori casa, in trattoria od al ristorante, «chi più spende meno spende», ma può essere, spesso, la cartina di tornasole, la prova della qualità: questo bisognerebbe ricordarselo sempre, ma soprattutto quando si sceglie un ristorante.

Persone citate: Antonella Clerici, Edoardo Raspolli, Giolitti

Luoghi citati: Italia, Piacenza, Unomattina