Comitati etici, un bilancio tra luci e ombre
Comitati etici, un bilancio tra luci e ombre Istituiti da un anno per dare più garanzie ai pazienti coinvolti nei test di farmaci, ma non tutto funziona Comitati etici, un bilancio tra luci e ombre Gli esperti perplessi: troppa burocrazia e poca informazione MILANO Se no sa ancora poco, eppure sono nati proprio per dare più garanzie ai cittadini, ai malati che vengono coinvolti nella sperimentazione di nuovi farmaci (quasi un paziente su dieci). Sono i cosiddetti comitati etici, cho un decreto del ministro Binai ha completamente rivoluzionato un anno fa. Attivi nei luoghi in cui si fa ricerca medica, adesso hanno compiti più impegnativi e sono formati da figure diverse, dal clinico al farmacologo e al giurista. Sono, o dovrebbero essere, indipendenti dagli interessi delle aziende farmaceutiche, e il loro parere non è più consultivo ma vincolante. Come funzionano, allora, questi comitati etici, che ci allineano all'organizzazione degli altri Paesi europei? Un primo bilancio lo si è tentato ieri all'Istituto europeo di oncologia, dove si sono incontrati medici ed esperti molto qualificati, non solo italiani. Una ricerca ha dato alcune indicazioni, anche se i dati sono limitati a 76 ospedali e a un campione di 110 medici in 52 città (di cui 4 nel Sud) e in 13 Regioni (di cui 2 nel Sud). Dalle risposte vian fuori una certa perplessità, soprattutto per gli aspetti burocratici (troppe formalità, nuovi uffici appositi) e per gli aspetti di comunicazione-formazione-educazione (mancano i seminari, le occasioni per discutere come svolgere al meglio i compiti attuali). «Questo conferma i miei timori — dice Livia Pomodoro, del comitato etico nell'Istituto europeo di oncologia —. C'è il richio che i nuovi adempimenti comprimano l'aspetto propriamente etico: in alcuni casi i comitati hanno addirittura preferito sciogliersi». Umberto Veronesi, direttore scientifico dello stesso Istituto europeo di oncologia, afferma che nell'Istituto hanno fatto di necessità virtù: da una parte hanno applaudito all'autonomia finalmente conferita ai comitati, «perché in questo modo chi fa una ricerca non sottostà più alle forche caudine delle lungaggini minis t eri al i, e quindi una sperimentazione ai viene più veloce»; dall'altra hanno creato una struttura «a monte del comitato etico per valutare l'attendibilità scientifica di un progetto, seguirne le applicazioni, controllarne i costi e i risultati. Il comitato può così lavorare soprattutto sull'etica». E qui — spiega Veronesi, che nel '73 fondò in Italia il primo comitato etico, con Giulio Maccacaro—«non facciamo firmare al paziente un modulo di adesione alla ricerca, perché un modulo troppo spesso è diffìcile da capire, e così il paziente non sa bene a che cosa va incontro sottoponendosi a una nuova terapia: abbiamo invece un colloquio approfondito col malato e scriviamo un verbale che facciamo firmare a lui, al medico dell'istituto e all'osservatore che assiste, in genere un parente o il medico curante». Fra gli interventi interessanti al convegno, quelli del giurista Giovanni Conso («coordiniamo ora i risultati dei comitati»), del neopresidente del Comitato nazionale di bioetica Giovanni Berlinguer («più democrazia nell'uso delle risorse mediche»), del segretario del Tribunale per i diritti del malato Teresa Petrangolini («i comitati etici servano per ricucire la fiducia tra cittadini e Sanità»), Un momento significativo è stato l'omaggio (una medaglia, una pergamena) a Adolfo Beria di Argentine, ex procuratore generale di Milano, che 50 anni fa diede vita al Centro di prevenzione e difesa sociale: «Fra scienza ed etica—gli ha detto Umberto Veronesi — ci hai insegnato a inserire il diritto». Ir. m.] L'oncologo Veronesi: per chi fa sperimentazione i tempi si sono notevolmente accorciati
Persone citate: Adolfo Beria, Giovanni Berlinguer, Giovanni Conso, Giulio Maccacaro, Livia Pomodoro, Teresa Petrangolini, Umberto Veronesi, Veronesi
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