Lite in famiglia a mezzo stampa

Lite in famiglia a mezzo stampa Polemica tra un giornalista politico e sua sorella, politica vera Lite in famiglia a mezzo stampa Maria Grazia Buzzone ROMA Non ù usuale che un giornalista attacchi sua sorella, per di più illustre, sul foglio in cui scrive. E' capitato sul Giornale, protagonista Gianni Pennacchi, cronista parlamentare nonché fratello di Laura, sottosegretario al Tesoro, che dai tempi del governo Prodi lavora fianco a fianco di Carlo Azeglio Ciampi. Tanto più curiosa è la forma della critica: un battibecco fra il croiùsta medesimo e una deputata in mezzo al Transatlantico. «Domandalo a tua sorella», esordisce infatti l'articolo del Giornale. «Sì, domandalo a tua sorella sottosegretaria al Tesoro, che non t'ha dato mai nemmeno il numero del suo telefonino raccomandando agli altri fratelli di rispettare l'ordine perché sei diventato di destra», risponde «con un sorriso amabile e malizioso» la deputata Ds al cronista che le chiede lumi sul candidato della Quercia al Quirinale. No comment della riservatissima Laura. Eppure Pennacchi - il giornalista - sostiene che non di un attacco trattasi, bensì di un vero e proprio messaggio. Un avviso erga omnes, leggi ai tanti politici (e colleghi) che, a suo dire, sarebbero convinti che la famosa sorella sia una fonte privilegiata del giornalista. «Sto' tormentone che mi perseguita doveva finire. Si sappia allora che manco il suo telefonino m'ha mai dato, da quando è diventata sottosegretaria», si sfoga Gianni. «Perché prima, quando era solo onorevole e nessuno quasi se la filava, "mia sorella" era lei, poi improvvisamente sc/no diventato io "suo fratello". E già ci si era messo Antonio, mio fratello operaio e scrittore», continua. Aprendo uno squarcio sul vero motivo di questo strano irrompere di legami familiari in una cronaca dal Palazzo. Un motivo del tutto privato e quasi intimo, fatto di antagonismi fra parenti assurti a una certa notorietà e pervaso di quella vanitas di cui i giornalisti, usi per mestiere a mettersi in mostra, sono meno immuni di altri umani. Vanità, sia pure non nella specie del narcisismo prorompente ma in quella, dolente, dell'orgoglio ferito. La storia, allora, racconta della già paludosa e zanzarosa provincia di Latina, e dei sette fratelli figli di Giovanni Pennacchi «bonificatore dell'agro pontino» e di Pia Tosatti «coIona veneta». Tutti, ciascuno a suo modo, ribelli alla tradizione fascista di quella terra, la «Palude» a cui Antonio ha dedicato l'ultimo romanzo. C'è la rifondatrice, la gruppettaro, l'ex Lotta Continua. C'è Laura, solida pidiessina «da sempre» comunista, «diletto di pietra», che volle dedicare la sua tesi di laurea al supervisore, Gyorgy Lukacs in persona. C'è Antonio, operaio all'Alcatel cavi, diventato negli anni scrittore «di libri veri». E c'è Gianni, T'«anarchico dandy col cappello» come lo ha descritto una volta il Foglio, ù primo a uscire dalla «Palude», che con Antonio si fa subito beccare dolio polizia mentre prepara cartelli contro gli Usa per l'arrivo a Latina della banda musicale della Sesta flotta, nel '68 arriva a Roma a studiare Legge e si ritrova a organizzare i cortei maoisti di Servire il Popolo. Era lui, «lo stravagante», il famoso della famiglia. «Il problema è che quando ce stiamo tutti non si può parlare di politica. Ma il più bello, il cocco di mamma so' sempre io». Il sottosegretario Laura Pennacchi

Persone citate: Carlo Azeglio Ciampi, Gianni Pennacchi, Giovanni Pennacchi, Laura Pennacchi, Lukacs, Maria Grazia Buzzone, Tosatti

Luoghi citati: Latina, Roma, Usa