Il giallo di Cernomyrdin

Il giallo di Cernomyrdin Mosca: Milosevic accetta truppe straniere. Belgrado nega Il giallo di Cernomyrdin Altalena di equivoci, forse l'ex premier ha svelato dettagli segreti Giulietta Chiesa Corrispondente da Mosca L'altalena di equivoci, dopo le otto ore di colloqui tra Milosevic e il «plenipotenziario» russo Cernomyrdin, ha tenuto il mondo col Tiato sospeso per l'intera giornata di ieri. E non è ancora finita. Prima, alla partenza da Belgrado, Cernomyrdin aveva detto che Milosevic era disponibile ad accettare un «contingente militare» di osservatori sotto l'egida dell'Onu, in Kosovo. Interfax aveva riportato. E Itar-Tass, l'altra agenzia russa, aveva ripetuto: Era giovedì notte. Per poi smentirsi poco dopo, sminuendo e parlando di osservatori «civili» sulla base di una «fonte diplomatica del ministero degli Esteri russo». Poche ore dopo, ieri mattina, il portavoce del ministero degli Esteri jugoslavo, Nebojsa Vujovic, ammetteva soltanto che «una modalità diversa è stala discussa (con Cernomyrdin, ndr) ma riguarda una presenza non armata dell'Onu nel Kosovo». Smentita chiara, anche se qualche cosa di nuovo c'era: la «modalità diversa». Mentre da Washington Clinton, Blair, Chirac, facevano sapere che non c'era neanche da parlarne, Cernomyrdin ribadiva: la Jugoslavia ha accettato le forze di altri Stati, «ma certo, militari», in Kosovo. Che sta succedendo? Chi mente, supposto che qualcuno menta e non si tratti di un gioco delle parti tra Mosca e Belgrado? Oppure chi ha sbagliato una mossa in questa partita? Domande legittime che hanno fatto il giro del mondo insieme a molte altre. Chi scrive ha potuto sapere da fonti informate che effettivamente tra Cernomyrdin e Milosevic si è parlato «anche» dell'eventualità di un contingente militare da introdurre consensualmente in Kosovo in cambio di un'immediata cessazione dei bombardamenti Nato e ih parallelo con il ritiro «graduale» dell'esercito jugoslavo dalle frontiere con la Macedonia e l'Albania, «almeno in una prima fase», per consentire il ritomo anch'esso graduale dei profughi e la loro protezione. Ma - e qui si cela il punto più de¬ licato - Cernomyrdin non avrebbe avuto il mandato di rendere pubblica questa parte della discussione. Egli avrebbe dovuto fare presente questa generica disponibilità di Belgrado nei colloqui riservati che, come mediatore, avrebbe tenuto con alcuni interlocutori della Nato. Facendo però presente, nel contempo, a quegli stessi interlocutori che Milosevic aveva una linea di demarcazione invalicabile: del contingente militare non possono far parte i Paesi «belligeranti» della Nato. Si lasciava indetcrminata la composizione del contingente, preferibilmente composto da Paesi molto lontani dal conflitto, ovviamente sotto l'egida delle Nazioni Unite. Lascian- do infine aperta la possibilità che qualche Paese della Nato avrebbe potuto entrarvi, ma non tra quelli più direttamente impegnati, cioè con l'esclusione di Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia, cioè dei Paesi con cui Belgrado ha rotto le relazioni diplomatiche. A questo punto, in questo stadio della discussione - non è ben chiaro se per inesperienza, o perché Cernomyrdin aveva bisogno di un chiaro successo in patria, o per incomprensione reciproca - il plenipotenziario russo ha lanciato la notizia del contingente militare, «bruciando» in tal modo in gran parte la possibilità di una prosecuzione e costringendo Belgrado a smentire. La Jugoslavia resta ferma sul rifiuto di ospitare un contingente a guida Nato A sinistra, Slobodan Milosevic a destra, Viktor Cernomyrdin