Il raid della discordia di Enrico Mentana

Il raid della discordia Il raid della discordia Isì e i no all'attacco alla Tv serba Mario Tortello LA Nato non ha ripensamenti. L'edificio che ospitava gii studi della Tv serba, a Belgrado, rappresentava un «obiettivo giusto». Ma la libertà di informazione può essere ripristinata con le bombe? Non ha dubbi Alessandro Curzi, direttore di «Liberazione», quotidiano di Rifondazione comunista: «Sarò un romantico. Ricordo Belgrado nei momenti della guerra fredda; penso alla redazione della storica agenzia di notizie "Tanjug", l'agenzia che per decenni ha saputo svolgere un'opera di informazione eccezionale, libera da influenze dei due blocchi che controllavano il resto del mondo. Oggi, mentre apprendo che alcuni di quei colleghi sono s*ati ammazzati, non trovo giustificazioni alcune a questa scelta. E' un crimine di guerra che merita una condanna severa». Incalza Giovanni De Murtas, deputato dei Comunisti italiani di Armando Cossutta: «La guerra è barbarie, sempre e comunque. Ma questa è barbarie gratuita, un atto criminale. Da quando la televisione è un obiettivo importante in un'operazione militare? Da quando l'informazione è il nemico da abbattere?». Per il governo italiano, prima del Premier Massimo D'Alema, parla Vincenzo Vita, sottosegretario alle Comunicazioni. «Non entro nel merito della qualità e della correttezza della tv di Stato serba - osserva il parlamentare Ds -. Certo la sua distruzione è sconvolgente. L'informazione è un bene primario e non può essere messo in discussione». Col «partito del sì» si schiera, invece, Giorgio La Malfa, segretario del Fri : «Sono sorpreso da questo coro di esecrazione, che va dal presidente della Rai a Serventi Longhi. Non riesco a comprendere le dichiarazioni del nostro ministro degli Esteri. Quello non ero uno strumento d'informazione, ma di propaganda militare. E se si accetta l'idea dei bombardamenti, non è che poi si può dire: lo stabilimento petrolchimico va bene, la stampa di regime no...». Dello stesso parere è Jas Gawronski, giornalista, ora senatore di Forza Italia: «Una televisione come quella che, in modo evidente, faceva disinformazione per conto del regime serbo, non meritava quell'attenzione e quel rispetto che va prestato invece alla libera stampa». Posizioni non isolate. Commenta Fulvio Martini, ex capo del Sismi: «Non ho elementi per dire in forza di cosa la Nato ha deciso l'attacco alla tv jugoslava. Certamente Milosevic non è stato obiettivo nel riferire ai serbi le notizie. La popolazione serba è rimasta all'oscuro della situazione in Kosovo e delle operazioni di pulizia etnica. Sotto questo punto di vista la tv può essere considerata uno strumento a disposiziono di Milosevic e quindi come un obiettivo da parte della Nato». Aggiunge Roberto Menotti, autorevole capo del Centro studi di Aiea Transatlantica del Cespi: «La sede della Tv è un bersaglio che rientra nella logica di colpire il personaggio Milosevic e il regime di Milosevic. Seguendo la stessa logica sono state colpi¬ re prima le sue proprietà e i suoi strumenti di controllo politico. In questa fase di azione aerea la Nato punta all'emergere di una nuova leadership politica a Belgrado. Colpire i mezzi di comunicazione di massa è un messagio alla popolazione serba: la Nato vuole fare il vuoto attorno a Milosevic». Ma colpire la Tv di Belgrado serve allo scopo? Oliviero Be¬ lva, conduttore di «Radioacolori» su Radiouno Rai, ritiene di no. «Obiettivo giusto o non giusto? Sono termini relativi... Ma una cosa è certa: ciò che è stato fatto non serve a nessuno. L'informazione della Tv serba sarà pure stata uno "straccio di informazione", anche molto strumentale; ma è uno spazio che si è perso per niente». Ha «orrore per i bombarda- menti, sia come uomo che come giornalista» anche Paolo Liguori, direttore di «Studio aperto» (Italia 1): «E' grave quanto sta accadendo, è grave che si faccia una guerra». Ma puntualizza: «Ci si scandalizza perché a essere colpita è la televisione serba. Però, se a esser colpite sono le fabbriche e gli operai o un ponte, questo non scandalizza...». E' pollice verso, invece, da Emilio Fede, direttore del Tg4. «No, una Tv, un organo di informazione, non possono rappresentare un obiettivo "giusto". Mai. A parte il fatto che in quella sede operavano anche i nostri giornalisti, il mio non è un discorso lobbistico: quando si colpisce l'informazione si fa una;., cazzata. Sempre. Potevano risparmiarsela». Anche Clemente Mimmi, direttore del Tg2, è contrario all'attacco, ma «comprende»: «Quando c'è la guerra succede di tutto. E, se vengono abbattuti i ripetori Tv, lo capisco. Capisco assai meno quello che è successo. Purtroppo, la guerra non guarda in faccia nessuno. Così come non guarda in faccia nessuno Milosevic». Dello stesso avviso, Roberto Morrione, direttore di Rai News 24: «La guerra non crea mai zone franche e oggi più che mai diffìcile valutare queste zone franche. Dispiace che ci siano giornalisti vittime, ma nella guerra ci sono morti innocenti da tutte le parti». Enrico Mentana, direttore del Tg5, non è d'accordo: «Bel colpo, strateghi della Nato! Col bombardamento della televisione serba, oltre alle vittime, per i nostri inviati a Belgrado sarà diffìcile darci notizie, mentre la televisione serba continuerà probabilmente a trasmettere. Il danno più alto lo avrà ora l'informazione: davvero un bel colpo». E Paolo Ruffini, direttore del Giornale Radio Rai, annota: «Non sempre la stampa è Ubera. Ma non si recupera la libertà bombardandola». Curzi: un crimine di guerra La Malfa: bisognava farlo Mentana: strategia sciocca Gawronski: colpita la propaganda Da sinistra Alessandro Curri Jas Gawronski e Enrico Mentana

Luoghi citati: Belgrado, Italia, Kosovo