Il generale serbo che aspetta l'Alleanza
Il generale serbo che aspetta l'Alleanza TACCUINO MILITARE Il generale serbo che aspetta l'Alleanza Maurizio Molinari ACCOGLIEREMO l'attacco terrestre della Nato con 150 mila armati, se una pallottola su tre arriverà a segno altrettanti aggressori moriranno». E' questa la promessa di Neboja Pavkovic, generale dell'Esercito jugoslavo, comandante della Terza Armata e difensore del Kosovo. Fedelissimo del presidente Slobodan Milosevic (con cui si è imparentato) si distinse come ufficiale prima in Kosovo e poi in Croazia. Nel 1995 arrivò a ricoprire il ruolo di mmistro degli Interni ad interim della Repubblica serba di Krajna, ovvero di guardiano della frontiera allora più incandescente. Nel 1996 Milosevic lo chiama alla guida dell'Unità militare di Pristina e lui ricambia promettendo di trasformarla in «un'oasi di pace». Poi è fra i più acerrimi avversari dell'accordo di Rambouillet e Milosevic lo premia ancora assegnandogli, a due mesi dall'attacco Nato, il comando della Terza Armata, incaricata di difendere i confini a Sud e Sud-Est. La stessa che prima del 1991 aveva il comando a Skopje, ora Macedonia. Appena preso possesso del Quartier Generale dì Nis, Pavkovic non perde tempo: stringe il coordinamento operativo con le forze speciali del ministero dell'Interno, ottiene rinforzi da Belgrado e sfida i cecchini dell'Uck nei villaggi che i suoi uomini «liberano dai terroristi». Pavkovic è sempre a fianco ai suoi uomini ed è pronto a cadere in battaglia nella Piana del Kosovo come fece nel 1389 contro gli Ottomani il principe Lazar, che secondo la tradizione popolare serba «scelse il regno celeste a quello terreno». Per Pavkovic il Kosovo è la «Gerusalemme dei serbi», Pristina l'ultima trincea prima di Belgrado, l'Uck una banda di criminali, la Nato il nemico da battere. Abile nel nascondere i tank ai satelliti, secondo la Nato può contare su 20 mila soldati, 18 mila uomini delle forze speciali e 8 mila irregolari disseminati in cento postazioni, per arrivare ai 150 mila armati di cui si vanta bisogna aggiungere rinforzi scelti, riservisti e volontari in abbondanza raccolti fra i profughi serbi dei territori perduti dal 1991 e in cerca di riscatto. Nell'arsenale dei difensori di Pristina ci sono carri, blindati e pezzi di artiglieria in un numero compreso fra 1800 e 2500. L'asso nella manica sono le batterie terra-aria, con cui aspetta al varco gli elicotteri «Apache» e gli «A-10» alleati, e le centinaia di missili a spalla Sam-16 e Sani-18, simili agli americani «Stinger» che fiaccarono l'Armata Rossa in Afghanistan. Con gli sconfinamenti in Albania e i moniti alla Macedonia punta ad impedire alla Nato di creare una «fascia di sicurezza» lungo i confini da cui poi attaccare. La strategia è guadagnare tempo, ritardare l'attacco in più possibile per poi prolungare la «difesa territoriale» fino all'arrivo del suo alleato segreto: il generale inverno. Il curriculum di Pavkovic giustifica l'avvertimento lanciato dal ministro degli Esteri iraniano, Kemal Kharrazi, nell'intervista pubblicata ieri: «Entrare in Kosovo sarà molto pericoloso per i figli dell'Occidente».
Persone citate: Kemal Kharrazi, Maurizio Molinari, Milosevic, Pavkovic, Slobodan Milosevic
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