UN BRUTTO SEGNALE di Lietta Tornabuoni

UN BRUTTO SEGNALE UN BRUTTO SEGNALE Lietta Tornabuoni ECCO, l'hanno trovato, il sistema contro la disinformazione: ammazzare i giornalisti e i tecnici televisivi. I morti e i feriti nel bombardamento della sede della Tv di Belgrado non sono soltanto un'altra infamia di questa guerra (perché i morti ammazzati sono morti chiunque li abbia eliminati, non esiste un morto meno morto di un altro). Sono anche un segno. Finora la Nato, magari ipocritamente, definiva le uccisioni di civili un errore, un equivoco, una fatalità, un tragico sbaglio che si sarebbe badato a non ripetere e per il quale ci si diceva addolorati, si chiedeva scusa. Stavolta, no. Stavolta le uccisioni sono volontarie, mirate, non comportano alcun rammarico ma la soddisfazione d'avere danneggiato un «nido di menzogne»: come se dire eventualmente bugie o fare propaganda potesse essere considerato un crimine degno della pena capitale. L'azione è più grave non certo perché la morte di gente della televisione sia più importante e offensiva di quella, mettiamo, dei settantacinque profughi uccisi dai bombardamenti sul mezzo di trasporto usato per fuggire dalla guerra: ma per l'atto volontario, per l'arroganza di chi si crede depositario del giusto e dell'ingiusto, del bene e del male.

Luoghi citati: Belgrado