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m 9h 5% LA ricerca o il compiacimento prevalgono nell'ultima produzione di Franco Battiato? Un disco, anzi un dialogo con la storia del disco, e uno spettacolo, anzi un'opera d'arte totale, che al canto e alla musica associa immagini e danza. Dai tempi di «Gilgamesh» (Teatro dell'Opera di Roma, 1992), lo sguardo del compositore catanese scruta la globalità; una «world music» ansiosa di nuovi riferimenti, non solo poetici o strumentali, ma narrativi. Un'accumulazione di materiali, citazioni, richiami, memorie che premono tutti per trovare un posto in prima fila; una sovrapposizione di culture che rende infine difficile il riconoscimento di un'identità. Quale aspetto consente, oggi, di distinguere la produzione di Franco Battiato? La voce appare incerta tra accentuazione della frase e gusto per la frantumazione che la porta a farsi mastichìo, irriconoscibile fonema; il ritmo alterna lunghe sequenze invariate a episodiche accelerazioni; la tavolozza dei colori orchestrali è ampia, ma spesso l'impasto dei suòni annebbia la varietà dei singoli strumenti; l'armonia, priva della forza vettoriale della tradizione occidentale, indulge nel torcersi su se stessa, salvo poi pentirsi e precipitare in rapide figurazioni; il gusto per la contaminazione dei linguaggi lo porta ad intonare in modo gregoriano, statico e contemplante, frasi che sembrano invece racchiudere un forte potenziale drammatico. Altre volte, l'ostinazione percussiva non sembra rende- re merito alle ambizioni delle immagini: «Coppie di opposti, passivo e attivo, femmina e maschio, luna e sole», argomenta il testo, eppure non è semplice ritorvare questi contrasti nella partitura e nella voce. Ma a queste osservazioni Battiato replicherebbe subito che lui .non è, o non è più, un compositore antagonista, pretendendo piuttosto di essersi riconciliato con il mondo. Ribadita anche in questa occasione, la collaborazione con il filosofo Mario Sgalambro svela una contraddizione. La storia tormentata - ma tuttora necessaria - del matrimonio tra parole e musica, insegna che in un testo non bisogna tanto ricercare l'autonoma bellezza dei versi, quanto il loro funzionare da detonatori per l'autonomia del compositore. In questa produzione, non sempre la fantasia musicale spicca il volo verso gli orizzonti che le parole pretendono di schiudere. In «Casta diva» e «Shakleton» la memoria di quando per stampare i dischi serviva la gommalacca compare in primo piano:-qualche battuta dell'aria della «Norma» di Bel- • lini evocata dalla 'greca divina' che nacque a New York, Maria Callas, e l'eco frusciata della melodia di «Plaisir d'amour». Lucio Dalla aveva amato Enrico Caruso con passione più calda e diretta, ma qui l'aspetto predominante è altro: il disco diventa palcoscenico di personaggi perduti, il suono registrato di oggi dialoga con i fantasmi del proprio passato. Un teatro dell'affetto, una nuova drammaturgia possibile all'oggetto compact-disc che costituisce l'intuizione più originale. Come epigrafe al loro percorso - è l'ultima frase di «Shakleton» - gli autori chiedono: «Sage mirwarum», dimmi perché. Nella canzone, alla domanda non segue risposta. Sandro Cappelletto Franco Battiate» è al Palastampa lunedi 26, ore 21, con lo spettacolo «totale» (non solo musica, ma anche danza) che nasce dal suo album «Gommalacca». Biglietti a 66, 56 e 42 mila lire, prevendite abituali, organizza Metropolis. m 9h 5% Nelle foto: Franco Battiato e (sotto) Eugenio Fitiardi

Luoghi citati: New York, Roma