FINARDI, ROCK E BATTAGLIE di Franz Di Cioccio
FINARDI, ROCK E BATTAGLIE FINARDI, ROCK E BATTAGLIE Ora va in teatro: ma ricordate il Palasport in assetto da guerra? Eugenio Finardi è in concerto venerdì 23 aprile al teatro Colosseo (ore 21 ). Biglietti a 30 e 23 mila lire più diritti da Box Office Ricordi e Hot Point. Organizza Vizi d'Arte. IL concerto di Finardi a Torino è un must, come una puntata di X-File. Se i palazzetti, i teatri e i luoghi deputati per i concerti avessero la memoria, potrebbero raccontare storie bellissime del mondo del rock, storie del quarto tipo, quelle, per intenderci, definite leggende metropolitane. Una di queste, in un clima da fantarock, ha come protagonista il Finardi pre-ribelle. In realtà ribelle lo era già, ma lui ancora non lo aveva cantato sui dischi. All'epoca, parlo dei primi Anni Sessanta, tutte le idee e le mode interessanti venivano mutuate dal modus vivendi et operandi degli artisti anglosassoni. Una di quelle idee d'importazione è legata alla figura del supporter. Il supporter è da sempre una necessità per tutti gli artisti affermati. La sua presenza e la sua musica servono a scaldare il pubblico prima dell'arrivo della cosiddetta star. Invece, per l'artista supporter, suonare prima di un big è l'occasione ghiotta per potersi esibire davanti ad un folto pubblico, in un grande appuntamento. La Pfm, che debuttò proprio facendo da supporter a band come i Deep Purple, fu il primo artista italiano a riprendere e lanciare questa idea. Ed è proprio la parola «lanciare» che fa da trait d'union fra Eugenio, Pfm e Torino. Ecco brevemente il film, così come lo ricordo. Palazzetto dello Sport 1975. Interno notte. Vocìo incontrollato. Clima surriscaldato dall'attesa e dalle tensioni tipiche dei concerti Anni Settanta (prezzo del biglietto, motivazioni politiche, voglia di trasgressione). Primo piano su Eugenio che, chitarra a tracolla, sale sul palco con tutta la sua carica di ruspante provocazione. Con lui c'è il suo fido scudiero, Lucio Fabbri (violinista emergente poi passato con Pfm). Due, tre brani, poi... l'inevitabile battibecco con il pubblico (a quei tempi all'ordine del giorno per tutti i supporter, ma anche con le «rock stars»). Lancio di gelati e altri generi di conforto tra i quali sacchetti di pop corn e cubetti di porfido. Inutile ricordare che gli oggetti volanti ben identificati, hanno il peso specifico molto diverso, soprattutto visti e sentiti atterrare sul palco. Segue una colorita sequenza di parolacce in italiano, intercalate dal classico «fuckin» ameri- cano dell'Eugenio Furioso. Questo fu il battesimo torinese di Finardi. Il film potrebbe finire qui, invece ha un seguito. Il nostro eroe è bello tosto. L'anno seguente, dopo l'uscita dell'album «Sugo», lo troviamo in tutte le classifiche e le radio libere con «Musica ribelle» e «La Radio», primi veri inni a quella libertà di espressione musicale ora invocata dai Giovani Verdi nella campagna «Cambia musica». Al di là dei ricordi, devo dire che Eugenio è sempre stato un po' guascone, ma anche un artista con una grossa carica di umanità. Ha saputo cogliere, in ogni suo disco, quegli umori generazio¬ nali che hanno aiutato tanti giovani a capire e a capirsi prima che arrivassero Vasco, con le sue storie maledette e Ligabue con le sue storie di provincia. Il cantautore milanese, come era chiamato (perché i cantautori conosciuti erano quelli del Folk Studio di Roma), incarnava perfettamente quella generazione, con i sogni a tutto diesel e la mente rivolta agli extra-terrestri. Oggi Eugenio, dopo l'oblio che ha preso i musicisti di razza durante i primi anni Ottanta (illuminato da momenti di grande poesia come «Le Ragazze di Osaka» e «Soweto»), è un portatore di emozioni vere, un artista che il pubblico, al di là del successo generazionale, ha imparato ad amare nel tempo proprio per la sua musicalità e la capacità di raccontare storie cariche di quella umanità che attinge dalle sue esperienze di vita. Eugenio è il viaggiatore che, prima di questi giorni terribili, va in Kosovo per vedere con i suoi occhi i disagi di una gioventù ferita. Eugenio è ancora ribelle, anche senza musica. Personalmente non ho molto amato la sua apparizione sanremese, perché penso non abbia bisógno di essere così rassicurante come quando canta la canzone di Lara. Mi è piaciuto di più al Pim, quando si è trovato per le mani canzoni di spessore come «Verranno a chiederti del nostro amore» di Fabrizio De André. E' con cose di questo tipo che esce dal mucchio per tornare a volare alto, quasi fosse un extra-terrestre che... ti porta via. Franz Di Cioccio 17
Persone citate: Eugenio Finardi, Fabrizio De André, Finardi, Ligabue, Lucio Fabbri, Soweto
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